CLAUDIO LOMBARDO – “IO, CALCIATORE A COSENZA. COSA HO VISSUTO, E COSA CONSIGLIO A CHI ANDRA’ A GIOCARCI.” 1^ PARTE.

E’ stato una delle colonne del Cosenza negli anni ’80, segnando un periodo indimenticabile con la promozione in Serie B nel 1987/88, e l’incredibile stagione in B dopo 25 anni culminata con una classifica avulsa che non permise ai Lupi di conquistare la A. Era duttile, instancabile e onnipresente. E il palo che prese con l’Udinese, segnò purtroppo la fine di quelle due stagioni da sogno. Sotto la curva, con l’urlo strozzato di noi tifosi. E’ Claudio Lombardo.

Ciao Claudio, e grazie per aver accettato di farti intervistare.

Grazie a voi per l’invito.

Sei stato un giocatore che ha giocato tanto, fino a 38 anni. Ma, soprattutto, credo che tu sia stato calciatore nel periodo più importante, perché secondo me il calcio italiano dagli anni ’80, vale a dire dal mondiale ’82 quando fino al mondiale del 98 è stato un periodo d’oro. Era un calcio forse più viscerale e più passionali di oggi. Cosa ne pensi?

Si, sono stato fortunato a partecipare a quel periodo. Dagli anni 80 agli anni duemila. E’ stato un ventennio ,come hai ricordato tu, fra i migliori per quanto riguarda l’epopea calcistica. Ci sono stati cambi che sono passati anche a livello generazionale, nel senso che si veniva da un calcio un pochettino antico. Piano piano si è passato ad un calcio moderno, quindi ho potuto vivere a cavallo tra esperienze diverse, proprio perché il calcio iniziava a cambiare. E quindi ho potuto partecipare a delle situazioni tattiche, delle evoluzioni calcistiche che erano comprese in quel lasso di tempo. Per me è stato un motivo di crescita di apprendimento anche a livello personale, e a livello calcistico in generale. Quindi diciamo che sono orgoglioso di aver partecipato e vissuto un calcio di questo tipo perché mi ha dato la possibilità di conoscere sfaccettature e modi di giocare diversi. E’ stato veramente a livello di esperienza personale molto importante .E anche adesso, al di là del calcio, queste esperienze me le porto con me. Oggi allenando ricordo quegli anni, e porto avanti delle conoscenze che avevo.

Partiamo dall’inizio. Sei nato a Voghera, e poi a un certo punto hai esordito in Serie A, perché eri sostanzialmente un prodotto delle giovanili dell’Inter. Quindi sei cresciuto in un club di altissimo profilo. Successivamente passi al Derthona, in prestito ed al Parma. Poi torni all’Inter dove – è questo importante sottolinearlo – esordisci con la prima squadra, ed è una cosa che non va sottovalutata perché oggi si vedono facilmente molti ragazzi esordire. All’epoca invece se un allenatore di faceva esordire, voleva dire che avevi delle capacità e che lui le avevo riconosciute. E parliamo di uno come Bersellini, che mi pare non fosse tanto propenso a a far esordire giovani! Era molto rigido, un Sergente di ferro, giusto?

Si, Bersellini era considerato un sergente di ferro, ma era comunque un uomo buono, perché allora anche gli allenatori che sembravano molto temibili poi alla fine erano alla mano. Lui faceva parte di questa categoria, e forse l’atteggiamento lo faceva sembrare molto cattivo e duro. In realtà era una persona molto umana e comprensiva. L’esperienza del”Inter è determinante, perchè quando cresci in un vivaio del genere, hai più facilità ad approcciarti al calcio professionistico, no? Però io ho fatto 4 anni nelle giovanili, poi mi diedero in prestito ad alcune squadre come il Derthona che faceva la C2 , ed il Parma che faceva allora la C1. E ho fatto una bellissima esperienza, perché io come età er coome un allievo, nel Derthona feci un campionato intero in C2, caso abbastanza eccezionale. Un anno dopo l’Inter mi mandò al Parma in C1, e anche lì avendo comunque appena compiuto il 17 anni faccio 15 presenze, tutte nel girone di ritorno. Poi tornai all’Inter, e dopo 2 anni di prestiti facevo il campionato Primavera perché ero ancora in età per quella categoria. Essendo Primavera mi allenavo anche con la prima squadra e poi alla fine esordisco in A, un percorso comunque bello per un giovane. Il problema arrivò dopo, se di problema si può parlare, perché comunque io dopo aver esordito nell’Inter in Serie A pensavo dopo aver già fatto un pochino di gavetta precedente di essere già pronto per categorie più importanti. Invece, essendo di Voghera , mi voleva lo stesso Voghera a tutti i costi, quindi vado lì in C2. Per me era un po’ un passo indietro perché ero ritornato a fare la C2 a 19 anni. I miei due anni di C2 comunque li faccio ad ottimi livelli perché comunque gli anni gli anni 80 erano comunque degli anni bellissimi, giocati ai massimi livelli. Anche a Voghera, che è una piccola cittadina, con tre quattromila spettatori allo stadio. Quindi parliamo del calcio degli anni 80. Ecco, fatti due campionati lì per poi passare all’Asti in C1. Quindi guadagno una promozione diciamo professionale. e dopo un campionato ad Asti in C1 arrivo a Cosenza.

E qui sono curioso di sapere come ci sei finito a Cosenza. Come andò la trattativa? Perchè poi da lì ne arriveranno altri che faranno la spina dorsale del gruppo della promozione.

Considera però le difficoltà iniziali, perchè il primo anno a Cosenza con Montefusco andò maluccio, poi arrivò Montez e chiudemmo una stagione mediocre. Anche L’anno dopo con Liguori con grandi aspettative fu un campionato difficoltoso, quindi i primi due anni a Cosenza sono stati abbastanza difficili, eh?

Già, non il massimo come inizio. E siamo negli anni 80, quindi a differenza di oggi per un giovane calciatore spostarsi dal nord al Sud era una cosa differente. Tu eri ad Asti quindi comunque vicino alle tue zone. Come sei finito dal Nord al profondo Sud?

Questa te la devo raccontare! Ecco, i direttori sportivi delle due società – Roberto Ranzani e Giusto Lodi – erano molto amici. Quindi tra di loro, visto che allora non esistevano i procuratori, c’era anche uno scambio di opinioni tecniche e di giocatori. Allora Giusto Lodi fece probabilmente il mio nome, ed io feci da apripista ad altri giocatori che poi arrivarono a Cosenza da Asti ( Galeazzi e Padovano). Diciamo che i direttori sportivi, non essendoci i procuratori che si proponevano, facevano un passaparola fra di loro. E credo che funzionasse così nell’intero mondo calcistico di allora. L’impatto fu di quelli forti.

Arrivi nel sud all’improvviso, a 22 anni. Quindi ti trovi catapultato in una realtà totalmente diversa. Anche se sempre in C1, eri in una zona dove il calcio strutturalmente e anche come disponibilità economica era più arretrata. Scendi dalla parte del Sud che se vogliamo all’epoca era semi-sconosciuta. Poi Cosenza erano anni che non vedeva la B, e viveva un periodo di semianonimato. Che impressione ti sei fatto quando sei arrivato?

Intanto era la prima volta che scendevo sotto Firenze. Sono venuto a fare le visite mediche la prima volta con la mia fidanzata ( che poi è diventata mia moglie) e arrivo a Paola col treno. Quindi per me l’impatto è stato bello forte. Ho visto un paesaggio un po’ arido, caldo. Alloggiavo al Motel Agip, e feci il giro degli ospedali per fare le visite mediche. E’ stato veramente diverso, perché già avevo visto subito una differenza tra dove abitavo e a dove venivo a giocare. Non era una impressione negativa, ma ero arrivato in un posto diverso. Ad Asti noi giovani avevamo una vita più social, a Cosenza si viveva nelle piazze fino fino alle 8:30 alle 9 la sera, poi chiudeva tutto e non avevi motivo di uscire. Non potevo farlo e non dovevi permetterti, perché in qualche modo poi dovevi rispondere sul campo..E poi, piano piano, le cose sono cambiate in meglio, Cosenza mi ha dato la possibilità di iniziare a comportarmi come calciatore professionista, che pensava solo a quello, e come calciatore dovevo in qualche modo rispondere a certe sollecitazioni che ti dava la società, la piazza, il campionato. Quindi a quel punto io dovevo essere pronto senza sgarrare, senza permettermi di pensare ad altro. Sotto un certo aspetto formativo lì sono diventato veramente professionista e professionale. Ecco, sì diventa calciatore, perché volente o nolente devi fare dei sacrifici per affermarti come calciatore. Poi, considerando che fai guadagni diversi, in qualche modo ti senti in dovere di rispondere a questi impegni.

Hai nominato i primi allenatori che ha avuto a Cosenza, però tu sei legato pure ai due allenatori probabilmente più amati nella storia del Cosenza, Con uno hai raggiunto la promozione in B, di Marzio. Col secondo probabilmente hai disputato la stagione più bella e leggendaria in serie B del Cosenza, Bruno Giorgi. Ricordo addirittura che nell’88/89 il Corriere dello Sport coniò per quel Cosenza la definizione “matricola di lusso”. Ti volevo chiedere prima di tutto la differenza fra i due allenatori a livello caratteriale e tattico.

Di Marzio vulcanico, oggi si potrebbe dire anche Social. Sapeva muoversi nel mondo del calcio a meraviglia, un po’ per le sue esperienze e un po’ per il suo carattere. Poi riusciva in qualche modo a farti incazzare, per farti tirare fuori il meglio. Ti metteva alla porta per farti capire che dovevi dare di più o dovevi comportarti in un altro modo. Cioè lui usava molte queste tecniche per fare in modo che i giocatori, aldilà degli allenamenti o dell’aspetto tecnico, fossero sempre pronti. Lui lavorava molto sull’aspetto psicologico. Quindi ti faceva incazzare, per fare in modo che tu potessi reagire sempre in qualsiasi difficoltà. Ecco, lui lavorava molto a livello psicologico sui calciatori con grande merito, e poi aveva una grande conoscenza dei campionati e dei calciatori, che poteva fare la differenza in quel periodo. Giorgi era una persona più più pacata, che faceva del lavoro la sua forza. Negli allenamenti la sua forza riusciva a farti scendere in campo con la consapevolezza della tua qualità, e della qualità che ti proponeva. Durante gli allenamenti tu arrivavi in campo che eri pronto per fare la partita sempre, perché lui era capace durante la settimana di prepararti nel modo migliore. In tutti i sensi, anche tecnico-tattico e psicologico pur essendo completamente diverso da Di marzio. Però con Giorgi riuscivi a dare veramente tutto ogni domenica. Dopo le prime partite di studio, siamo riusciti ad abituarci al campionato di Serie B. Siamo andati in crescendo, e siamo arrivati a sfiorare la serie A.

Il campionato di Marzio è legato al fatto che incredibilmente eravamo considerati dagli addetti ai lavori una squadra forte, però diciamo che fino alla fine non si era pronosticato il Cosenza come una delle favorite. di Marzio era subentrato nel campionato precedente e ci aveva portato al quinto posto. Quindi eravamo forti ma non la Favorita. Eppure, ad un certo punto, la squadra iniziò a girare alla grande e arrivò alla promozione. Quando l’avete capito che a quel punto avevate raggiunto una forza ed una consapevolezza dei vostri mezzi tale che non vi potevano fermare? Nella partita di Salerno, che fu giocata in un clima da far west? Simoni, il nostro portierone, ha raccontato che praticamente siete andati allo stadio scortati. Ma soprattutto che più i tifosi avversari vi minacciavano, più vi caricavate. Giovannelli in testa.

Diciamo che c’era un gruppo di anziani nella squadra, come Giovannelli, Giansanti, Lucchetti, Castagnini, Schio che sapevano caricarci. Quindi diciamo che noi ragazzi eravamo spronati a correre, a pedalare e a dare comunque il nostro contributo agonistico fortissimo. Al di là che poi alla fine magari non avevamo grande cattiveria. Noi però ci facevamo trasportare e trascinare dei vecchi (che poi proprio vecchi non erano, avevano qualche anno in più ed erano solo più esperti della categoria). Poi il pezzo fondamentale era comunque lui, Di Marzio, che era un conoscitore di piazze di tutto il campionato del centro-sud. Perciò sapeva caricare le molle giuste per farti reagire quando serviva. E non trascuriamo l’aspetto tecnico, avevamo dei giocatori fortissimi. Urban Lucchetti Padovano erano giocatori strepitosi. Dopo che abbiamo vinto quella partita a Salerno è stato un crescendo anche morale, sempre più alto. Sembrava che da quel momento in casa non ce ne fosse più per nessuno. Noi scendevamo in campo in casa e, magari pur non facendo grandi partite o non essendo al meglio, le vincevamo. Chi veniva a giocare da noi aveva timore, sapeva che venivano ad incontrare una squadra fortissima e questo ce lo siamo creato partita dopo partita. E’ stato sempre un crescendo e questo ha fatto in modo che le altre squadre ci guardassero come una corazzata.

La stagione successiva, in serie B (la mia prima in curva Nda) è la stagione cruciale, del ritorno. Ricordo la prima in casa col Genoa facciamo 0-0 , e la prima sensazione però era – anche stando sugli spalti – che fossimo tutti bloccati, anche noi tifosi! Cioè era un impatto da neopromossa, timorosi, inesperti, ma soprattutto attenti perché si voleva partire col piede giusto. Poi a un certo punto parte la cavalcata. Lì quando è scattato qualcosa?

Dopo che vincemmo a San Benedetto, venivamo da una serie di partite un po’ di difficili, ma diciamo che ha pagato il lavoro duro, ma allo stesso tempo il fatto che abbiamo acquisito una mentalità vincente. Dalla partita con la Sambenedettese abbiamo iniziato davvero ad essere consapevoli che potevamo essere bravi e forti, non trascurando comunque che nei primi momenti c’era anche un po’ di timidezza iniziale. In fondo allora tutti quanti venivamo dalla C1, e ci affacciavamo in un campionato di Serie B pensando che fosse un altro mondo. In realtà non era un altro mondo, la C1 del nostro girone era quasi una serie B. E quindi quelle preoccupazioni del tipo “cacchio giochiamo in serie B” sono scomparse quando abbiamo iniziato a prendere il ritmo ed a capire come adeguarci a quella categoria. Pagato lo scotto iniziale, perché le prime domeniche incontri squadre blasonate come il Genoa per esempio che era stato in A, inizi a capire che ci stavamo in quella categoria. E vedi che la condizione fisica, tecnico-tattica migliora e non hai più paura. Giorgi ha avuto merito anche in questo, ci ha fatto crescere molto e ci ha fatto diventare giocatori di categoria mentre prima pensavamo solo di essere il giocatore di serie C. Serviva consapevolezza e lui ce l’ha data.

Voi di quel gruppo siete rimasti in contatto? Vi sentite ancora oggi?

Ma sai io sono in contatto con Galeazzi, sono in contatto Simoni, con Giansanti, Urban, Lucchetti. Ho rivisto Giovannelli. Con Napolitano e De Rosa ci scambiamo gli auguri, anche con Ciccio Marino. Quindi non ci siamo lasciati. Ogni tanto ci ritroviamo, non ci si può vedere più come una volta, l’ultima mi pare sia stata cinque anni fa. Due anni fa mi sembra che dovevamo venire, ma poi per il covid-19 è saltato tutto. Spero di farcela a scendere a Cosenza magari la prossima primavera. E poi c’è Facebook che mantiene i rapporti vivi anche a distanza.

Dopo una stagione leggendaria arriva una stagione triste. Perché stranamente eravamo partiti da favortiti nell’89/90, ma ci siamo salvati per il rotto della cuffia. Vorrei chiederti di tre persone che non ci sono più e che erano in quel Cosenza, Gigi Simoni che fu esonerato, il Capitano Gigi Marulla e poi c’è Bergamini che morì quell’anno in circostanze tragiche e mai chiarite. Cosa ricordi di loro e cosa non è andato in quella stagione?

In realtà non fu fatta bene la squadra. Era un pochino cambiata, e spesso succede che le squadre che si rinforzano o che vogliono rinforzarsi, poi alla fine prendono giocatori forti, ma non è detto che risolvi i problemi. E proprio perché era costruita in un altro modo, subentrarono delle problematiche. Ma non perché i giocatori che arrivarono fossero scarsi, ma in un contesto di squadra diventa più difficile assemblarli. Simoni poi era un ottimo allenatore e una gran persona, però probabilmente non ha trovato o non è riuscito a trasmettere quella marcia in più. E poi venivamo da un campionato incredibile e le aspettative erano alte. Se l’anno prima avessimo fatto un campionato mediocre probabilmente avremmo avuto più spinta l’anno successivo. Così non è stato, quindi abbiamo trovato più difficoltà. Poi dopo l’esonero di Simoni è tornato di Marzio e siamo riusciti a salvarci. Anche perché poteva diventare veramente problematica la salvezza per tutto quello che poi era successo. Gigi Marulla tornò quella stagione, dopo che era stato con altre squadre. Bè, che dire, era una bellissimo persona, e come giocatore un piacere averlo come compagno. Con lui in poco tempo riuscivi ad avere un feeling immediato. E poi c’è la vicenda Bergamini, che ci colpì e rattristò tantissimo, ancora adesso è un bel colpo. Tra l’altro per settimane e mesi abbiamo giocato con quel pensiero, era impossibile continuare a giocare senza che la mente non andasse a lui. Quindi una stagione un po’ strana, dove fortunatamente riuscimmo a salvarci, e ci fu un’altra tragedia alla fine, con due nostri dirigenti – Alfredino e Mimmolino – che morirono in un’incidente stradale.

FINE PRIMA PARTE

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