AZZURRO TENEBRA

Lo sappiamo tutti che se ci fosse stata per tempo una riforma del sistema con dirigenti competenti, società sane, stadi di proprietà e investimenti sui giovani, qui Berardi avrebbe segnato, no?


Per meri interessi di bottega – e per darci da scrivere, anche quando il campionato è fermo da giorni – il presidente Guarascio è intervenuto, loquace ultimamente come non mai, con un comunicato stampa in cui si è avventurato in un’analisi sulla seconda mancata qualificazione consecutiva degli Azzurri ai mondiali – tanto più paradossale in quanto si parla dei Campioni d’Europa in carica.
Ora, alla sconfitta con la Macedonia del Nord sono state generalmente e da tutti gli opinionisti assegnate tante cause e tanti padri – gli stranieri, gli stadi fatiscenti, la malapolitica, le tasse, le cavallette – quando dovrebbe essere chiaro che, almeno per una volta e fermo restando i problemi attuali e annosi del calcio italiano, si è trattato meramente della classica partita stregata che segue un periodo di scarsa brillantezza post Europeo degli Azzurri (sempre privi di Spinazzola e Chiesa, ovvero di due tra i giocatori fondamentali per il cambio di ritmo della squadra di Mancini). Tra la Bulgaria e la Macedonia, passando per due gare con la Svizzera (e con la deludente eccezione dell’Irlanda del Nord, è vero, ma giocando in casa di una squadra che non ha mai subito gol sul suo campo nel girone), un’Italia pure a scartamento ridotto ha creato e fallito dozzine di palle gol: alla storia passeranno i due rigori di Jorginho, ma la verità è che il portiere svizzero, quello macedone e quello bulgaro sono stati protetti da Santi assai benevoli in una marea di circostanze inconcepibili.
E allora, cosa vuoi analizzare? Prendi letteralmente un gol sull’unico tiro avversario in ognuna delle quattro partite, ne sbagli di clamorosi in quantità industriale, spari rigori decisivi alle stelle, e veramente vogliamo ricondurre una cocente mancata qualificazione a problemi atavici – che certo andrebbero risolti comunque – con radici profondissime? Ci sono troppi stranieri nel campionato italiano, se ne dovrebbe dedurre che se ce ne fossero di meno allora in Nazionale ci sarebbero giocatori più forti, poniamo, di Berardi, e quindi capaci di segnare il gol in Svizzera solo davanti al portiere o quello a Palermo in cui nella porta macedone non c’era letteralmente nessuno? E perché, ci vuole forse uno più forte di Berardi – che per inciso, per me è fortissimo e non averlo visto con la maglia del Cosenza sarà sempre un mio rimpianto – per segnare quel gol? O non ci vuole forse semplicemente più serenità in quella circostanza, una testa più libera o solo che il gatto nero si distragga un attimo?
Gli stadi sono fatiscenti e quindi le loro condizioni miserande hanno forzato Jorginho a sbagliare due rigori, di cui uno all’89’ che ci avrebbe portato ai mondiali in automatico?
I dirigenti sono vecchi, è tutto un magna magna, ed è per caso stato questo a fare sì che Trajkovski azzeccasse letteralmente il tiro della vita da trenta metri al 92′ sull’unico tiro in porta dei furbi contrabbandieri macedoni?
L’Italia nel periodo da settembre 2021 a marzo 2022 ha pagato in termini di sfortuna molto più di quanto non abbia ricevuto dalla buona sorte a Euro 2020, vinto anzi decisamente con merito – ed è davvero tutto qui. Quasi un caso, come fare un superenalotto al contrario. Allora, se vogliamo dire che il movimento calcistico italiano non può essere in balia del caso quando ci si gioca la qualificazione al mondiale, ed esserci messi controvento da soli come bersaglio della malasorte resta una nostra colpa grave, è una discussione che si può affrontare volentieri e anzi si deve; ma scomodare i peccati endemici di questo stesso movimento calcistico per dare una spiegazione e attribuire delle responsabilità per non aver vinto (da Campioni d’Europa) quattro partite che a rigiocarle cento volte l’una le si vince tutte significa dare semplicemente fiato ai tromboni della retorica.
Senza con questo voler addossare responsabilità ai giocatori (non vorrei dare questa impressione), ma: segna almeno uno di due rigori decisivi e sei in Qatar. Metti nella porta bulgara una delle trenta occasioni che hai avuto a Firenze e sei in Qatar. Metti nella porta svizzera almeno una delle quindici occasioni che hai avuto a Berna e sei in Qatar. Fai lo stesso con la Macedonia (almeno una delle palle gol, una delle duecento mischie in area, uno dei cinquanta tiri verso la porta rimpallati da uno stinco o da una tibia) e magari non sei in Qatar ma almeno a Lisbona sì.
Tutto qui.


Questo non vuol dire, ovviamente, che i problemi del sistema non vadano affrontati – e oserei persino aggiungere ben venga una clamorosa, dolorosissima mancata qualificazione se è la scusa per affrontarli, ma purtroppo come detto è la seconda consecutiva e dopo la notte di novembre ’17 contro la Svezia tutte le promesse e i progetti già fatti allora sono rimasti lettera morta, compreso quello dettagliatissimo e studiatissimo di Roberto Baggio – costretto alle dimissioni dal ruolo federale che gli era stato assegnato perché, giunti al momento di fare i fatti, i fatti che il suo progetto prevedeva si facessero erano troppo scomodi per chi dal sistema oggi ci mangia e con quella rivoluzione non più. Basti solo vedere la fronda che i presidenti di Serie A e la loro relativa Lega stanno tenendo nei confronti di Gravina, reo di voler portare avanti un giro di vite che spazzerebbe via il sistema delle plusvalenze fittizie e li costringerebbe a ripianare i debiti con soldi veri e non con giochetti contabili.
Che dire dell’innovazione delle seconde squadre? E’ stata vista dagli stessi presidenti solo come un’ulteriore spesa (vera: senza possibilità cioè di barare coi bilanci) e a oggi così esiste solo la Juventus U23, peraltro fortemente penalizzata da un regolamento assurdo che impone di non poter tornare più nell’U23 a un giocatore che nella stagione collezioni cinque presenze in prima squadra. Così se resta fuori un mese e mezzo un difensore centrale di prima squadra l’allenatore ci pensa dieci volte a lanciare l’omologo under 23, perché dopo cinque presenze (pure entrando a dieci minuti dalla fine) resta sul groppone a lui – ovviamente fuori squadra – senza poter tornare a farsi intanto le ossa in serie C. Restando all’U23 dei bianconeri, infatti, si dice un gran bene del regista Fagioli, che si sarebbe potuto anche provare in qualche partita di serie A quest’anno, invece per trovare spazio senza ridursi alla serie C è dovuto andare in prestito a Cremona, rallentando il suo percorso di crescita.
L’Italia, cambiando esempio, ha un chiaro problema in attacco: troppo atipico Immobile per fare la prima punta nel gioco di Mancini. Belotti, non a caso rimasto nel limbo granata, non ha mai potuto fare il salto per andare oltre la dimensione Torino e così gli è mancato quel battesimo del fuoco che ti dà esperienza internazionale. Scamacca dovrebbe essere il centravanti del futuro, magari in coppia col gemello di reparto Raspadori, ma già i tifosi delle big interessate a loro stanno strepitando contro il presidente del Sassuolo, colpevole di chiedere troppi milioni per cedere i suoi gioielli (“a quel prezzo ci conviene andare a prendere quel ventenne pseudo promettente del FC Lens o del Montpellier“); poi però a mantenere le promesse è al massimo un ventenne francese originario delle colonie d’oltremare o del Nordafrica su trenta, e comunque quell’uno su trenta farà le fortune della nazionale francese – e intanto nessuno nota che se al Bayern Monaco, il club oggi meglio organizzato e probabilmente col fatturato più ricco del mondo, interessa un giovane tedesco del Borussia Dortmund, anche se si tratta di un ventenne o persino più giovane il Bayern va a Dortmund, mette sessanta milioni sul tavolo e torna in Baviera col ragazzo; il quale, va da sé, farà le fortune della nazionale tedesca. E invece da noi Scamacca rischia di restare a Sassuolo, con tutto il rispetto per l’organizzatissimo (a livello societario) Sassuolo, a incrociare gli scarpini ogni fine settimana con difensori di Cagliari e Udinese senza mai maturare esperienza internazionale nelle coppe europee che le big disputano – e di conseguenza senza essere ritenuto pronto (e magari ancora non lo è davvero) per Italia-Svizzera o Italia-Macedonia.
Allora, se vogliamo parlare dei problemi del calcio italiano, partiamo da questi.
Però, come ho detto, siamo già partiti cinque anni fa da qui, dopo Italia-Svezia, e si sono fatte solo chiacchiere.


A proposito di chiacchiere.
Come dicevo, nella discussione si è inserito anche Guarascio, che quasi sembrava non vedesse l’ora di poter giustificare ancora le sue sessioni di calciomercato delle pulci: certo vi ricordate di “abbiamo avuto difficoltà a prendere un attaccante in Italia perché tutto il calcio italiano ha un problema di attaccanti, guardate infatti la nazionale” – ecco, il presidente ce ne ha concesso una riedizione con altre parole ma dallo stesso concetto: il fatto che l’Italia sia fuori per non aver segnato gol nei momenti decisivi sarebbe quindi la prova che lui si rivolge al mercato estero perché gli attaccanti italiani non segnerebbero. Ho scritto innumerevoli volte su questo blog quanto costi un centravanti di serie B (intendo dire un centravanti davvero di serie B: no, non Rosseti dell’Ascoli o Mbakogu riesumato dal sarcofago) e ne abbiamo avuto contezza quando l’anno scorso al calciomercato invernale ci siamo accostati a Pettinari (promesso espressamente a Occhiuzzi) e Dionisi: i prezzi sono quelli, la richiesta di pluriennali pure, Guarascio non ci ha nemmeno pensato e ha virato, appunto, su Mbakogu, coi risultati che mi auguro ci ricordiamo tutti.
Quindi, caro presidente, il problema che la tua società ha con le punte del campionato italiano è che tu non vuoi pagarle per quanto valgono secondo leggi e prezzi di mercato: con tredici euro e cinquanta per sei mesi di contratto non ci prendi Dionisi. Lo prende l’Ascoli, che era ultimo, coi gol e gli assist proprio di Dionisi risale, ti mangia quattro punti di vantaggio che avevi a poche giornate dalla fine e si salva persino in anticipo, mentre tu sprofondi a Lignano. E Dionisi – vedi che ti vuole dire un triennale? – è ancora oggi nelle Marche a fare gol e a far sognare i playoff al Picchio. Mbakogu invece dov’è, qualcuno lo sa localizzare? Pare che un mese fa abbia finalmente trovato squadra in Grecia. Ovviamente non è ancora manco sceso in campo.
Altri passaggi illuminanti del Guarascio pensiero hanno riguardato il solito cavallo di battaglia del blocco delle retrocessioni, evidente anche se mascherato dietro giri di parole (“la riforma della Serie B, ad esempio, diventa impellente per aumentare le chance di centinaia di giovani atleti che oggi faticano ad emergere“), per il quale è stato già sbeffeggiato all’assemblea della Lega di B sul finire della scorsa stagione – nonché un incredibile atto d’accusa verso chi trascura i settori giovanili (“la centralità dei settori giovanili deve essere valorizzata attraverso investimenti e lavoro di qualità, perché è fondamentale salvaguardare i talenti italiani e permettere che molti di loro si cimentino con il calcio vero“), incredibile perché… insomma, dobbiamo davvero prendere l’argomento del settore giovanile del Cosenza Calcio? Davvero? Guardate che usando solo l’aggettivo incredibile sono stato particolarmente buono. In undici anni si è visto solo Sueva, mentre Collocolo ci ha fatto gol appena all’inizio del girone di ritorno con indosso un’altra maglia.
Per carità di patria sorvoliamo, anche perché nella stessa frase e sempre parlando di giovani il presidente parla pure di investimenti e subito dopo di strutture – sì, c’è scritto davvero – e insomma, dai, preferisco non infierire su di lui, anche perché diventerei monotono.
Naturalmente, il buon presidente Guarascio – dopo aver esordito tra l’altro con una frase surreale se detta da lui (“la seconda esclusione consecutiva della Nazionale dal Mondiale è un duro colpo per il nostro calcio e la conferma che stiamo sbagliando molto, non da ora, ma da diversi anni“: speravo fosse da parte sua un’ammissione di colpe) – non ha perso l’occasione per lanciare un sasso anche contro il male assoluto del nostro calcio, i procuratori, oscuri personaggi indicati come figure sempre più invadenti nel rapporto tra società e calciatori e additati di svolgere un ruolo nefasto. Oddio: nei giorni in cui si è saputo che Liguori, procuratore di Ndoj, è stato costretto a ricorrere agli appositi organi federali per ricevere dal Cosenza quanto da contratto gli spetterebbe, parlare male dei procuratori assomiglia a una nuova, ennesima, drammatica caduta di stile. A commento di un altro sciagurato comunicato – quello antiDevetia – di pochi mesi fa, quando si scriveva che il Cosenza Calcio era costretto a ricorrere al sistema del comunicato stampa per tutelare la propria reputazione, scrivevamo a firma Redazione che il primissimo fondamentale rimedio per la tutela della reputazione societaria sarebbe stato quello di non scrivere mai più comunicati, visti gli esiti tra il ridicolo e il disastroso.
Confermo ora quanto abbiamo noi del blog scritto al tempo: meno comunicati tirate fuori, meno autogol vi fate.

NubeDT

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