LA REPUBBLICA DI SARÒ

Salò è una ridente cittadina (si dice sempre così) che ha avuto una parentesi di seicento giorni in cui è assurta addirittura sul palcoscenico della Storia, tra le pieghe della Seconda Guerra Mondiale, più o meno capitale della Repubblica mussoliniana post 8 settembre. Probabilmente un parente – sovente un nonno (ormai oggi un bisnonno) – che ha imbracciato le armi da quelle parti all’epoca lo abbiamo tutti, anche se ormai la quasi totalità di chi combatté una sanguinosa guerra interna su fronti contrapposti è passata a miglior vita.
Oggi Salò se ne sta serena sulle rive del Garda. Una cittadina parte dell’opulento nord, di quella Lombardia che contende al Veneto il titolo di motore economico della Nazione – e Salò stessa contende a Predappio, a evidenti scopi commerciali, il titolo di capitale del nostalgismo, ardito neologismo che dipinge un’economia basata sul remunerativo commercio di cimeli del Ventennio e di gadget ben più moderni.
A Salò si sarebbe dovuta scrivere una parte importante anche della storia del campionato del Cosenza, ma lo stadio dei leoni del Garda non è adeguato alla categoria e così i verdeblù, colori nei quali rivediamo quasi a specchio le nostre origini (almeno secondo alcuni), giocano le loro partite interne al Garilli di Piacenza, stadio che frequentammo anche nei ruggenti anni 90 – quando i biancorossi locali erano in auge.
È finita due a due, come si sa. Eravamo partiti con l’idea di vincere in casa della penultima in classifica, solo che loro erano reduci dal clamoroso exploit in casa della lanciatissima Cremonese e, come già scritto sul blog, i risultati degli altri campi danno al pareggio finale un valore assai diverso di quello che gli assegnavano le previsioni della vigilia. Poi noi siamo stati censurabili in zona gol (una palla gol fallita e diverse incursioni sotto porta sprecate prima del primo gol di La Mantia), tentennanti in difesa, praticamente morti sul due a uno e infine miracolati da Micai nel delirante finale, in cui abbiamo concesso due palle gol folli ai locali (appena l’altro giorno, parlando degli insulsi sei minuti di recupero nel finale col Brescia, scrivevo io stesso: quando sono gli altri a dover inseguire un gol succede mai che passiamo i minuti di recupero in ciabatte e senza patemi, come invece hanno potuto fare i bresciani? Ecco).
E di fronte a ciò, ben venga il punto.
Anche la prossima giornata ci potrebbe essere tendenzialmente favorevole (Como-Bari, Parma-Spezia…) ma la fortuna dobbiamo costruircela da noi, per una volta abbiamo il destino interamente nelle nostre mani e anche se l’avversario, il Palermo, è sulla carta più ostico di compagini che non siamo riusciti a battere recentemente, non è teoricamente più rimandabile l’appuntamento con la vittoria – pena, ancora una volta, dipendere dai risultati degli altri campi e stare col fiato sospeso.


Già, il fiato sospeso.
Non è una sensazione nuova, vero? Arriva il finale di campionato e come ogni volta nella lotta dei bassifondi noi siamo coinvolti in pieno, stante la solita penuria di vittorie nell’arco del campionato, uno stadio di casa che da anni e anni non è più un fortino inespugnabile (e sì che dovrebbe essere il nostro valore aggiunto, noi che sul mercato non mettiamo le cifre che investono gli altri: a Cosenza dovrebbero lasciarci le penne tutti, con le buone o le cattive) e il solito balletto degli allenatori.
Naturalmente oggi si critica Viali e qualcuno rimpiange Caserta, “col quale eravamo a due punti dai playoff”. Ah, beh, adesso ve ne accorgete che eravamo a due punti dai playoff: quando su questo blog si scriveva – per mesi – che remando tutti nella stessa direzione si poteva fare un miracolo e la classifica era molto meno drammatica di quanto la si voleva vedere nessuno ci dava ascolto, era una jungla lì fuori. Serpenti, alligatori, gorilla, sorci, però manco un lupo, peccato. Ma la situazione non è più quella e alla lunga le colpe di Caserta, lasciato solo come sempre accade a Cosenza, hanno superato i meriti (che io ricordo essergli stati riconosciuti solo su questo blog, ma sbaglierò): e se Caserta ha fatto errori, anche Viali comunque non ne può essere esente (e forse l’errore è stato rivolgersi di nuovo a lui anziché a un tecnico più navigato), visto che tutti sbagliano e noi ci siamo messi nelle condizioni migliori per farlo.
Anche perché è ovvio che il punto non sia l’allenatore.
No, nemmeno il DS, pur se presentarsi alla stampa e dichiarare che l’esonero di Caserta è avvenuto per una scelta d’istinto fa rizzare i capelli. Ma si può? E poi facendolo, ma si può dire in giro? In conferenza stampa?
E allora, ecco il punto. La scelta d’istinto. La superficialità, la trascuratezza, la mancanza di spirito d’impresa, la visione solo a brevissimo termine, l’arronzo che è la firma in calce della società Cosenza Calcio: la stessa società, per dirne una, che in una gara ufficiale di serie B manda in campo almeno due giocatori, Canotto e Crespi, con una maglia diversa da quella dei compagni di squadra (totalmente bianca, senza il fregio rossoblù sulla parte superiore del pettorale) – roba che manco alla partita di calcetto del giovedì tra amici.
Perché? Perché, come ho sempre spiegato, le nostre divise da gioco ufficiali sono semplicissime maglie monocolore Nike da catalogo (come l’anno scorso erano semplicissime maglie palate Nike da catalogo) a cui poi Linea Sport Oro, il rivenditore vero aggiunge l’altro (o gli altri) colori sociali o, come nel caso dello scorso anno, una striscia dorata verticale. Evidentemente qualcosa è saltato nella filiera, per questa partita (sarà caduto malato il magazziniere, che ne so?), e così ecco due giocatori della nostra squadra disputare una gara ufficiale indossando solo una tshirt bianca (per fortuna almeno con numero e nome).
Naif oltre ogni dire.
Crespi, indicato dalla freccia. Verificate da soli e poi fidatevi: Canotto aveva la stessa maglietta.


E torniamo al dilemma di sempre, stimolati da questa ennesima pessima figura e memori delle parole di Gemmi che, appena settimana scorsa, diceva anche che Cosenza prima o poi salirà in serie A (ma fateci il favore, fateci): a costo di sembrare noiosi e ripetitivi, ci si vuole finalmente spiegare cosa vuole fare questa società da grande?
È una domanda tanto difficile?
O è imbarazzante la risposta?
Invece di venirci a parlare di serie A prima o poi, perché non ci dite una volta per tutte – a noi nel senso: alla tifoseria intera, che qui e ora ci sentiamo di rappresentare – quale visione avete a lungo termine?
Il Cosenza Calcio, la società di proprietà (sostanzialmente) del presidente Guarascio, da anni sta balbettando già nel coniugare l’indicativo presente, come tutti questi elementi – risultati in primis – dimostrano da sempre, quando si deciderà, ammesso che ne abbia le intenzioni, a imparare a coniugare il futuro?
Investo, costruisco, faccio, al presente coniugato senza balbettare, finalmente.
E poi il futuro.
Sarò.
Quando assisteremo a questo evento?
Non volendo annoiare i lettori oggi non torno su esempi vicini a noi in cui è chiaro e lampante quanto bene possa portare programmare, persino se un paio di volte si perdono i playoff di serie C – e non ci torno anzi soprattutto perché tanto la società ha dimostrato negli anni di non sapere o volere imparare né dagli esempi virtuosi né dai propri errori. Ha dimostrato negli anni di non essere in grado di coniugare senza balbettare i verbi al presente e di coniugare seriamente i verbi al futuro. Ha dimostrato di non essere in grado di dire sarò, al netto di blandi propositi fumosi e vacui e parole al vento che in certi periodi pure escono fuori (il presidente è stato capace di parlare di serie A nell’intervallo di una devastante débacle ad Empoli nell’anno della retrocessione in C, quando già il campionato volgeva al termine e la classifica ci induceva solo ad affidarci a S. Francesco di Paola).
Aspettiamo con ansia che la storia finalmente cambi, che quest’anno – mancherebbe altro – si conquisti l’ennesima stentata salvezza e dall’estate prossima si gettino finalmente le basi per diventare grandi, in tutti i sensi: la conferma dei migliori di questa stagione, l’acquisizione del cartellino degli elementi più forti che al momento sono solo in prestito, una campagna di investimenti seria (investire non significa buttare i soldi) – uno sguardo teso al futuro ma un futuro concreto, da costruire nel presente mattone dopo mattone, senza vedere ogni volta i mattoni scomparire e le presunte fondamenta sbriciolarsi per ricominciare daccapo.
La società Cosenza Calcio oggi come oggi non dice sarò.
Non con le dovute serietà e sincerità.
La società Cosenza Calcio coniuga bene solo i gerundi alla andando vedendo, e – sia detto solo come motto di spirito, senza alcuna valutazione negativa sul calciatore – forse non è un caso se affida le chiavi del centrocampo a uno che si porta nel nome un passato remoto, per giunta del non esaltante verbo calare.
E per il futuro… ripassare in futuro.

NubeDT

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