LO SCRIGNO DELLE MEMORIE #5.1. L’ANNO IN CUI NON SIAMO STATI DA NESSUNA PARTE.

Quinta puntata (la prima di due parti) della rubrica del nostro blog, a firma Keep Your Feeling In Memories e a cadenza “un po’ quando ca##o mi pare“, in cui torneremo a ricordare fatti e personaggi nemmeno troppo in là nel tempo (astenersi nostalgici di Codognato o De Maria) perché si ha l’impressione, come spesso scritto su questa piattaforma, che a Cosenza la memoria difetti un pochino e si tenda a celebrare e ammantare di epica certi periodi che non meritano propriamente di essere rimpianti. Anche perché poi ci è capitato davvero, di andarci a vedere lo Zumpano; e lo Zumpano giocava contro il Cosenza. O era Montalto-Cosenza o che so io.


Nel meritorio (a mio avviso) compito che ci si è assunti con la rubrica di questo blog, ovvero quello di ricordare fatti, eventi e personaggi di un passato del Cosenza recente ma già così tanto mitico che tutto è stato travisato, proprio come nei miti (e così il Bene diventa Male e soprattutto viceversa), doveva prima o poi venire il momento di toccare quell’argomento che rappresenta il classico elefante nella stanza; perché se si parla di quegli anni non si può girarci troppo intorno senza arrivare al punto focale, che per ogni tifoso è il 31 luglio del 2003. E, a dire il vero, tutto il contesto e tutto ciò che ha preceduto, di settimane e/o mesi, quel giorno, nonché tutto ciò che ne è seguito: in primis, ovviamente, la battaglia giudiziaria che si sono dati Cosenza Calcio 1914 di Pagliuso e FIGC, davanti al Tar del Lazio.
Quella causa ha rappresentato la prima in assoluto relativa alla appena varata legge 280 del 2003 (sbocco finale del decreto legge 230/2003, il cosiddetto decreto salvacalcio): un autentico battesimo del fuoco per la nuovissima normativa, nata proprio allo scopo di proteggere il mondo del calcio dal caos ingenerato dai provvedimenti d’urgenza, concessi in favore delle società di calcio escluse dai campionati e quindi ricorrenti, da parte dei vari TAR sparsi per le regioni (“i giudici sotto casa“, chioseranno i vertici federali, Franco Carraro in testa, con inusitato disprezzo verso la magistratura decentralizzata, accusata di sfornare sentenze a favore delle società di calcio del territorio e per cui magari i giudici facevano il tifo). Si accusavano senza mezzi termini i vari Tribunali Amministrativi Regionali di non dispensare giustizia ma favori alle realtà calcistiche locali, frustrando i provvedimenti federali di esclusione dai campionati davanti ad asserite violazioni presuntamemte incontestabili.
Era stato, buon ultimo solo in ordine cronologico (anzi: ultimi saranno i provvedimenti, in scia di quello, emessi dai TAR Liguria a favore del Genoa e Campania a favore della Salernitana), il caso del provvedimento del TAR Sicilia di Catania, presidente Zingales, che aveva ordinato la riammissione in serie B del Catania annullando la retrocessione degli etnei (o meglio, annullando la decisione della giustizia sportiva che definitivamente negava la vittoria a tavolino di questi nei confronti del Siena: quei tre punti stravolgevano la classifica, mentre sul campo la gara era finita 1-1), a ingenerare il clamoroso caos di quell’estate del 2003, col calcio italiano che ha rischiato seriamente una paralisi storica. Il Catania aveva impugnato il verdetto della Corte Federale, che deliberando sul ricorso di altre società interessate alla classifica aveva capovolto la sentenza della Commissione d’Appello Federale, giudice di secondo grado, favorevole agli etnei (sì, lo so, è complicato): secondo i giudici della Corte, la posizione in campo del giocatore del Siena Martinelli (squalificato, aveva scontato la squalifica nella giornata precedente in occasione di Siena-Napoli, ma nello stesso giorno era sceso in campo col Siena Primavera) non era illegittima, poiché ritenevano la squalifica del calciatore debitamente scontata appunto nella sfida dei bianconeri contro i partenopei (e per contro, quindi, assolutamente irrilevante il fatto che avesse giocato con la squadra giovanile lo stesso giorno).
Come abbiamo visto, la questione si è ingarbugliata nel momento in cui a dare due sentenze contraddittorie, una favorevole al Catania con vittoria a tavolino (e dunque etnei salvi) e una favorevole al Siena con ripristino del risultato del campo (e dunque Catania retrocesso), sono stati due organi similari, la Commissione d’Appello Federale e la Corte Federale (che agisce di solito in funzione di giudice d’appello): nel primo caso (ragione al Catania, Commissione) accogliendo un appello degli stessi siciliani, nel secondo caso (ragione al Siena, Corte) accogliendo un esposto di altre otto società di serie B interessate a che il Catania non ottenesse quei due punti in più a tavolino. Franco Carraro, nell’immediatezza di questa sentenza, ebbe anche l’ardire di diffidare pesantemente siciliani e cointeressati ad adire la giustizia amministrativa: ma risulta veramente difficile difendere le posizioni dei vertici della FIGC davanti a un guazzabuglio simile e al caso tragicomico di due organi giudicanti non di grado diverso che nel giro di poche settimane si smentiscono a vicenda stracciandosi in faccia le loro stesse sentenze, che oltretutto, nel caso della CAF che ha dato ragione al Catania, dovrebbero essere di ultima istanza e quindi intoccabili e non passibili di riforma.
Il Catania si rivolse al Tar Sicilia, che immediatamente concesse la sospensiva, annullando di fatto la retrocessione degli etnei in attesa del procedimento di merito; lo stesso fece la Salernitana, a sua volta retrocessa in C, che ottenne analogo provvedimento dal Tar Campania. Intanto il Venezia, che con la nuova classifica riscritta in tribunale non sarebbe stato più salvo ma avrebbe dovuto disputare uno spareggio salvezza col Napoli, presentò alla giustizia sportiva un ricorso analogo a quello dei siciliani, per la posizione del giocatore Vito Grieco nella gara contro di loro in cui avrebbe dovuto essere squalificato ma aveva giocato. Anche in quel caso Grieco aveva scontato il turno di squalifica nella gara precedente, anche in quel caso aveva disputato in quell’occasione la partita della squadra Primavera della sua società: Grieco, però, era sceso in campo con la giovanile non nello stesso giorno della prima squadra bensì il successivo (quindi a squalifica già scontata), differenza sostanziale, circa l’interpretazione dell’art. 17 comma 13 del Codice di Giustizia Sportiva, ben conosciuta dalla giurisprudenza sul punto. Ma stranamente non conosciuta dalla FIGC, evidentemente, che tentò di uscire dall’impasse concedendo ai veneti la vittoria a tavolino (anche in quel caso sul campo la gara era terminata in parità) e retrocedendo di nuovo il Catania… proprio però mentre la Salernitana aveva ottenuto il suo provvedimento salvezza dal “suo” Tar.
Il Tar Sicilia, manco a dirlo, giustamente annullò anche il verdetto della giustizia sportiva circa Catania-Venezia (né più né meno che una scandalosa scappatoia) e riammise nuovamente i rossoazzurri in B.


E in tutto questo, il Cosenza di Pagliuso?
L’inerzia più totale.
Codici, regolamenti, giustizia sportiva, Tar, ricorsi, esposti, appelli: solo a Cosenza si resta alla finestra a guardare, senza muovere un dito per tutelare gli interessi della società. Il patron Pagliuso è alle prese con il terremoto dell’Operazione Lupi che lo porterà persino in carcere (accuse gravissime: associazione a delinquere ed estorsione con l’aggravante del metodo mafioso, appropriazione indebita, falso in bilancio, truffa ai danni della Federazione Italiana Giuoco Calcio); il figlio Peppuccio, anche angustiato dagli stessi problemi giudiziari penali che affliggono il genitore, si farà notare solo per le sue strampalate dichiarazioni alla stampa. Il Cosenza Calcio 1914 SpA è in liquidazione, dovrebbero pensare a salvaguardarne il futuro sportivo almeno i tre commissari nominati dal tribunale – ma i suddetti, tre professionisti catanzaresi (e mica è una colpa esserlo, eh), scendono sul piede di guerra e fanno fuoco e fiamme… a parole. Ad esempio, mentre a Salerno già hanno in pugno la loro sospensiva, a Cosenza ancora si medita se rivolgersi parimenti al Tar o attendere ancora gli eventi (!!!). Sarà Aliberti, proprietario della Salernitana e amico personale di Pagliuso, a dare una svegliata a chi di dovere, convincendo apparentemente i rappresentanti legali della società rossoblù ad adire proprio il Tar Campania, avendo questo già deliberato su un caso simile (curioso che i tre professionisti catanzaresi non abbiano invece pensato a rivolgersi al Tar Calabria, che è proprio nella loro bellissima città).
In ogni caso, il ricorso al Tar del Cosenza per ottenere la sospensiva resterà solo nella fase embrionale, travolto dagli eventi. Perché intanto, nel drammatico primo pomeriggio del 31 luglio 2003, giorno del Consiglio Federale, proprio il Cosenza che non aveva ottemperato a tutti gli adempimenti propedeutici all’iscrizione al campionato di serie C (da cui poi avrebbe potuto chiedere il ripescaggio in B) viene escluso da tutti i campionati e di conseguenza radiato dalla FIGC. Significativo, ma non dirimente (saranno numerose, in realtà, le violazioni), l’omesso deposito in tempo utile della fideiussione necessaria all’iscrizione al campionato: passerà alla storia come il celebre giorno di ritardo, soprattutto nella memoria dei pagliusiani, che accusano Federazione e Carraro di aver escluso il Cosenza per un solo giorno in più oltre il termine al solo scopo di poter ripescare in B la Fiorentina e risarcire così la città di Firenze, appena un anno prima spedita in C2 dopo il fallimento della società di Cecchi Gori.
A cosa è dovuto questo ritardo?
Innanzitutto, alla circostanza (ammessa da Peppuccio nelle sue interviste) che, tra una disavventura con l’antimafia e l’altra, i Pagliuso ritenevano di non doversi iscrivere in serie C, avendo semmai diritto alla serie B in conseguenza del caso Catania di cui sopra (le altre tre società retrocesse stavano infatti viaggiando in scioltezza verso il ripescaggio e una serie B a 24); questa idea idiota sarà portata avanti per parecchi giorni, fino a quando ancora Aliberti avvertirà l’amico Giovanni Paolo Fabiano che doveva iscriversi eccome. Segue un’altra idea folle, relativa al non sorgente obbligo in capo alla società Cosenza di versare il dovuto per l’iscrizione al campionato e di presentare la relativa fideiussione, in quanto vantava un credito di un miliardo e mezzo con la Lega Calcio. E riguardo alla totale insania di un simile convincimento non è il caso che spenda altre parole.
In ultimo, quando finalmente Pagliuso padre e figlio, curatori catanzaresi e compagnia si decideranno finalmente a fare le cose come vanno fatte (ma ormai con pochissimo tempo a disposizione), verranno tenuti per giorni preziosi sulla corda da una banca di Palermo, che poi non concederà la fideiussione; quindi finiranno nel giro delle fideiussioni false emesse da una finanziaria straniera (che farà cadere nella stessa trappola anche Napoli, Roma, la Spal dello stesso Pagliuso, per la serie una via & due servizi, e qualche altra società); e infine, a pochissime ore dal gong, otterranno la sospirata fideiussione da una banca di Dipignano (!!!), a pochi chilometri da Cosenza, dopo che avevano vanamente girato mezzo mondo (e io mi sono sempre chiesto: ma se alla fine ti viene incontro una banca di Dipignano, mica New York, non potevi rivolgerti subito a loro? Che bisogno c’era di sbarcare a Palermo?). Sospirata fideiussione dunque ottenuta ma, come abbiamo visto, in ritardo: o meglio, tecnicamente in tempo per averla materialmente in mano entro il limite ma non per spedirla in Federazione a Roma, presso cui viene mandata per intanto via fax sperando che basti (non basterà) e depositando l’originale il giorno dopo, come abbiamo visto.
Per inciso, è difficile credere che l’Operazione Lupi, con l’accusa (tra le altre) a Pagliuso di aver truffato proprio la FIGC, non abbia influito circa il clamoroso rigore federale nel pretendere dal Cosenza l’originale della fideiussione per ratificare l’iscrizione, mentre ad altre società di serie C come l’Aglianese è stato consentito, come poi si è saputo, di depositare dei semplici assegni.
Il 31 luglio 2003 il Consiglio Federale ratifica l’esclusione del Cosenza e riabbraccia in serie B la Florentia Viola, pardon, la Fiorentina, che compie un duplice salto carpiato unico nella storia del calcio italiano, scavalcando a pie’ pari la C1 e trovandosi dalla C2 (che comunque aveva vinto) in B. A dare la notizia a una tifoseria tra l’affranto e l’incazzato andante è il compianto avv. Peppino Mazzotta, intanto diventato presidente del Cosenza (presidenza brevissima quanto amara), in un pomeriggio torrido che vedrà scorrere molte lacrime (giusto perché il calcio è solo un gioco).


Un nuovo Cosenza, denominato Cosenza FC, creato (malamente) dall’allora sindaco Eva Catizone e dai suoi sodali, verrà iscritto al campionato di serie D: Evita si recherà da Carraro perché così vuole la procedura per ottenere l’ammissione di una nuova squadra cittadina, dopo la scomparsa della precedente, ai massimi livelli del calcio dilettantistico (altrimenti si sarebbe dovuti ripartire dalla Terza Categoria), e per sua stessa ammissione operata durante un’intervista radiofonica, nonostante fossero liberi posti in C2, dirà al presidente Federale: “a noi va bene una categoria qualsiasi dei dilettanti, anche l’Eccellenza o la D” e così otterrà solo, appunto, l’Eccellenza (che diventerà serie D acquistando il titolo in vendita del Castrovillari). Carraro stesso potrà così ben lavarsene le mani e dire ai cosentini delusi e arrabbiati che avrebbero voluto quantomeno l’ultimo gradino del calcio professionistico: “prendetevela col vostro sindaco, lei ha detto che l’Eccellenza le andava bene, che ne sapevo che non parlava a nome della città e che voi volevate la C2?“.
Cosa mosse il sindaco a pronunciare quell’improvvida frase? Totale ignoranza calcistica, menefreghismo della volontà popolare (credeva di farsi bella semplicemente restituendo una squadra alla città a prescindere dalla categoria?), tirchieria nel non voler impegnare le casse comunali (manco fossero soldi suoi…) a un esborso da calcio professionistico per varare la nuova società? Cosa spinge un sindaco a condannare alla serie D la sua stessa città?
Domande che lascio aleggiare nell’aria.
Il Cosenza 1914, intanto, come è noto ricorrerà al TAR Lazio: sarà la prima società in assoluto a tenere a battesimo la nuova normativa della legge 280/2003. Sarà un procedimento complesso, doloroso persino, che terrà tutta la tifoseria col fiato sospeso e che vedrà divampare la speranza dopo la sentenza di primo grado, che riassegnerà alla società il diritto al titolo sportivo di serie C (ne parleremo nella seconda parte di questo articolo, che sarà pubblicata prossimamente).
A questo punto si risveglieranno anche i commissari, curatori, liquidatori, quello che erano, insomma, ve li ricordate i tre professionisti catanzaresi, no? Ecco, nel pieno della vertenza davanti al Tar Lazio tra Cosenza e FIGC, quando gli spifferi facevano presagire una sentenza estremamente favorevole alla società e baluginava l’idea che il neonato Cosenza FC potesse giovarsene abbandonando i dilettanti, i tre moschettieri dirameranno un comunicato stampa in cui ricorderanno che “l’unica società a poter eventualmente beneficare di una eventuale transazione con la FIGC o di una decisione favorevole dei giudici amministrativi, anche ai fini di un eventuale ripescaggio nei campionati sportivi a seguito dei ricorsi al Tar del Lazio e al Consiglio di Stato ritualmente presentati dagli stessi amministratori giudiziari, è il Cosenza Calcio 1914 Spa già retrocessa dallo scorso campionato di calcio di serie B e non già il Cosenza Football Club, squadra militante nel campionato dilettanti serie D e che alcun legame di continuità può accreditare con il Cosenza Calcio 1914 Spa.”
…Ma che il diavolo vi porti, ancora oggi ovunque siate.

FINE PRIMA PARTE

K.Y.F.I.M.

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