IL MIGLIOR INFERNO POSSIBILE

Lo chiamano brodino caldo: A Lignano Sabbiadoro il Cosenza del nuovo corso Occhiuzzi ha portato a casa un punto in rimonta, e come ho già scritto nell’articolo sulla partita sapremo solo più in là se questo costituirà un drammatico rimpianto (si giocava in casa dell’ultima in classifica che aveva gli uomini contati per il covid e gli ultimi trentatré minuti i ramarri li hanno giocati in dieci…) o se – come ormai ci tocca augurarci – potrà essere cemento per il nostro futuro più roseo.
Già, il futuro. E il presente, anche. Magari pure il nostro più recente passato. Tutti inesorabilmente segnati da un comune, costante leitmotiv – parola tedesca che ormai mi sono rassegnato a credere che in cosentino si traduca come fatalistica rottura di ca##o – dal quale non riusciamo a scrollarci, nonostante ci tentiamo.
NO, un momento: davvero ci tentiamo?
Davvero a Cosenza si fa il possibile per scrivere, una volta tanto, una storia diversa?
La gara col Pordenone è alle spalle, quella col Pisa si approssima, ma si avvicina anche il calciomercato e allora l’occasione mi sembra propizia per addentarmi in un’analisi più generale, perché – giunti ormai alla quarta stagione consecutiva in serie B – reputo si abbiano abbastanza dati per tirare le somme e fare i conti: non quelli che secondo l’allenatore si fanno all’ultimo (l’anno scorso all’ultimo però è sparito, io avevo già la calcolatrice pronta e le corna rotte dopo Lignano Sabbiadoro) ma quelli che dopo, per l’appunto, ben tre stagioni e mezza, possono dare una visione della politica societaria e della condotta della società e del suo proprietario negli anni.
C’è un dato di fondo al quale vorrei trovare un perché attraverso una serie di parametri, ragionamenti e riscontri oggettivi, ed è l’innegabile circostanza che vuole che, dal momento del ritorno in serie B, il Cosenza di Guarascio si sia trovato praticamente sempre in zona retrocessione. Fa eccezione, ma nemmeno tanto, il finale di stagione del primo anno di serie B, quando i Lupi guidati da Braglia e sospinti da Tutino e Palmiero (al loro esordio in categoria, ricordiamolo: non è che si sia andati a prendere due fuoriclasse apposta per salvarci) dalla zona retrocessione, accarezzata comunque per tre quarti di stagione, si sono risollevati concludendo il torneo in una rassicurante posizione di centroclassifica. Eccettuato quel periodo (in cui comunque ci si è mantenuti solo pochi punti al di sopra della zona pericolo, mica abbiamo sfiorato i playoff) e compresa l’annata attuale, ormai giunta quasi a metà campionato, il Cosenza ha sempre veleggiato nelle posizioni più miserabili della classifica.
Ci vogliamo chiedere perché?


Il Cosenza, negli anni 90, aveva una sua rispettabile tradizione in serie B – cominciata nella stagione 88-89, quella di Giorgi post vittoria del campionato di serie C1 con Di Marzio. Per circa una dozzina di campionati, intervallati da un altro anno di C1 (quello dell’esplosione di Morrone e Margiotta), il Cosenza ha militato con alterne fortune nella seconda serie nazionale. E quando parlo di alterne fortune intendo proprio che ogni torneo ha fatto storia a sé – talvolta facendo sprofondare i tifosi nella stessa sgomenta incertezza di oggi e di questi quattro anni di Guarascio in serie B, altre volte facendoli sognare. In due o tre circostanze (il primo anno di B, con Giorgi e col palo di Lombardo, l’anno di Reja e di Lecce, l’anno di Mutti finché è durata) il Cosenza ha anche sfiorato la serie A, che sul campo avrebbe clamorosamente strameritato (coi tre punti a vittoria saremmo saliti nell’88-89); una volta si è salvato allo spareggio, col leggendario gol di Marulla nei supplementari a Pescara, e Benito Scola ebbe tutta l’autorità e la legittimazione di parlare a nome dell’intera tifoseria per dire all’allora presidente Serra e ai dirigenti non permettetevi più di farci soffrire così. Altri anni sono stati interlocutori, altri ancora di salvezze colte nel finale di stagione, come nell’anno di Sonzogni – De Vecchi – Sonzogni, con la doppeitta di Tatti nell’ultima di campionato al San Vito a regolare il Cesena e a regalare la salvezza, o ancora la punizione vincente di Lentini e il colpo di testa di Oshadogan in rimonta a Empoli. Poi c’è stato l’anno della retrocessione, come detto subito riscattato da un pronto ritorno in cadetteria.
Talvolta, anche quando le cose sono andate poi diversamente sul campo, il Cosenza è addirittura partito a inizio stagione coi favori dei pronostici tra le pretendenti al salto di categoria: vedi l’89-90, quando a una squadra che sembrava stellare (Marulla, Muro, Padovano, Bergamini che morirà proprio quell’anno…) e che l’anno prima aveva sfiorato la massima serie si aggiunse in panchina un autentico specialista in promozioni in serie A come il compianto mister Gigi Simoni – giusto per chiarire le intenzioni della dirigenza.
Qual è la differenza con oggi?
Negli effetti, è che nessuno oggi, da quattro anni a questa parte, si sogna lontanamente di inserire il Cosenza non dico tra le favorite alla promozione, ma nemmeno nella griglia delle outsider – cosa che invece quest’anno è toccata alla Reggina, che pure appena l’anno scorso era una neopromossa (e ci è arrivata parecchio davanti, dopo aver investito a sufficienza in sede di calciomercato e messo in piedi una squadra degna della categoria mentre noi cedevamo Baez, intascavamo un milione, ingaggiavamo Mbakogu e retrocedevamo in serie C).
Questi gli effetti (il fatto che ogni anno gli addetti ai lavori danno il Cosenza per spacciato o per candidato a soffrire fino all’ultimo): quali le cause?
La risposta mi sembra abbastanza chiara: la politica della società. Il concetto di gestione di una società di serie B che ha Guarascio, lontanissimo da ogni idea di possibili investimenti, assunzione di rischio d’impresa (sia mai: una parolaccia, per chi lavora e lucra con gli appalti pubblici, vero?). In termini meno aulici, la disgustosa micragna del proprietario della società, che ha evidentemente interesse solo a incassare ma mai a investire. Mai. Ogni anno prestiti, elemosine, svincolati, richieste di soldi per la valorizzazione alle società di provenienza dei prestiti; ogni anno, e ormai siamo mi pare a tre di fila, ritiro precampionato in dieci (con squadre praticamente da ricostruire partendo da zero), poi in sette, poi quest’anno direttamente niente ritiro (mai visto nulla del genere nel calcio professionistico italiano: in che categoria bisogna scendere per trovare una società che non ha fatto un straccio di ritiro?).
Insomma: siamo all’inferno. Però in serie B, appena un gradino sotto il massimo: insomma, il nostro è il miglior inferno possibile – o quasi. Condotta societaria vergognosa (indegna pure dell’Eccellenza) ma, per una incredibile volontà degli astri o degli Déi, categoria prestigiosa – che noi meritiamo (e anzi meriteremmo anche la A), la società assolutamente no.
Come mai in altri tempi il Cosenza poteva rischiare di retrocedere in C1 oppure di conquistare la sospirata serie A, e con Guarascio si rischia di retrocedere e basta? Come fanno gli altri – chessò, un Pisa, un Cittadella, un Crotone dei primi tempi, non dico società milionarie che allestiscono squadroni – ad arrivare o a sfiorare la promozione nel massimo campionato, comunque conquistando i playoff? Poi c’è anche l’anno in cui ti può andare male – vedi il Crotone del nostro primo anno di B, che aveva un organico di livello ma quasi è retrocesso – ma, appunto, ti può andare male, non è come al Cosenza di Guarascio a cui semmai le cose vanno esattamente come ci si aspetterebbe, vista la condotta societaria e il nullo interesse per il patrimonio tecnico.
Già, come fanno gli altri? Investono. Due milioni il Pisa ha messo sul piatto per Lorenzo Lucca, ed eccolo lassù in vetta con Lucca addirittura proposto a furor di popolo per la Nazionale maggiore (a rivenderlo oggi, il Pisa incasserebbe dieci volte tanto). Uno e mezzo ne ha speso il Venezia per Forte, che pur nello Stabia retrocesso aveva segnato caterve di gol, e coi gol di Forte il Venezia eccolo là oggi in serie A. Il Cittadella spende ogni anno il doppio del nostro budget in scout che segnalino per tempo i prospetti più idonei e cartellini di giocatori di serie C (il cui ingaggio è molto contenuto, provenendo dalla categoria inferiore), che poi rivende a prezzi clamorosi dopo averci sfiorato la serie A – perché sono giocatori attentamente seguiti per un anno e di cui in Veneto sanno cosa, come e quanto possono dare alla squadra.
Eccetera.


Caro presidente Guarascio – ecco che come ogni volta vengo a rivolgermi direttamente a te -, se (e sottolineo se, cantava quella) vuoi provare anche tu a conquistare la serie A o quantomeno ad assaporare l’ebbrezza dei playoff; se vuoi regalare finalmente qualche soddisfazione a una tifoseria che ti ha dato tutto (ma chi le porta in serie B 1400 persone a Parma?) e oggi ha tutte le ragioni (in parte quelle qui sopra elencate) per contestarti, ormai sfinita e senza più pazienza; se in ogni caso vuoi smetterla di legare il tuo nome e quello della nostra città a questa reputazione da perdenti morti di fame, quelli che vedrai quest’anno come retrocedono davvero e stavolta non li riammette nessuno, quelli che manco hanno fatto il ritiro sti pezzenti, quelli che (Pedullà dixit, in diretta TV nazionale; che vergogna) il DS del Cosenza al mercato di riparazione dovrà fare i miracoli con un budget ridicolo, eccetera – insomma, se vuoi che finalmente cambi questo stato di cose (che diciamocelo, è brutto brutto – tu vai in televisione pure a metterci la faccia e farti persino intervistare durante le partite, ma dove la metti la faccia? Te lo dico io, su una squadra che sta raccogliendo l’ennesimo zero a tre stagionale e sembra un branco di peones raccolti per strada a quattro spicci) non hai che da agire diversamente.
Non hai che da agire come gli altri.
Costa? Siamo in serie B e abbiamo costi da serie B, signor presidente. E anche gli investimenti, per non fare queste figure da quattro anni a questa parte (perché, nel caso non ti fosse chiaro, ribadisco che non ti parlo solo dell’oggi ma di tutta la nostra militanza in cadetteria sotto la tua gestione), devono essere da serie B. Per dirne una, un centravanti che in serie B abbia medie realizzative da centravanti ha un prezzo di cartellino e un determinato ingaggio, se non sei disposto a pagare quelli non se ne uscirà mai: ti fai prestare Gliozzi dal Monza e quello, poveraccio, si spreme fino a farti sette gol (roba da centrocampista, anzi, Bruccini in una stagione ne fece otto…), mò se uno che segna sette gol è quello dei tuoi che ha segnato di più, che risultato vuoi che ne esca? Vai a verificare la scorsa stagione com’è finita se non te lo ricordi – e avrai la risposta.
Il centravanti vero in serie B costa quanto Forte o Lucca (investimento enorme e rischioso per il Pisa per un giovanissimo che veniva dalla C, ma si vedeva già col Palermo di che pasta fosse e comunque lo vedi quanto sta rendendo e quanti soldi gli porterà in cassa quando lo cederanno?), non puoi ogni volta fartelo prestare – perché ti prestano ragazzini alla prima esperienza, ex promesse che devono rilanciarsi dopo anni di buio (in sostanza, scommesse azzardate se su di loro devi puntare per avere un numero sufficiente di gol per zone migliori della classifica) o appunto elementi alla Gliozzi, onesti mestieranti che però restano ben lontano dalla doppia cifra – e anzi, due volte nella scorsa stagione il sidernese ha letteralmente tolto la palla dalla porta, piazzandosi al posto sbagliato, mentre stavamo segnando.
Vuoi dirmi che non hai i soldi per affrontare questi investimenti? Nonostante ti stiano entrando da quattro anni milioni su milioni? Ah, beh, capisco, la società ha entrate e uscite, certo (beh, se le uscite sono gli oneri diversi di gestione e altre spese per un totale di tre milioni e mezzo, un po’ sono perplesso: altrove in serie B sotto questa voce a bilancio mettono poche centinaia di migliaia di euro): ma sicuro, i soldi non li hai, mica è una colpa.
Ma allora, se i soldi non li hai (e però vanno trovati e spesi, in questo modo mica si può andare ancora avanti) perché non fai come ti si sta chiedendo da anni e non vendi la società a qualcuno che abbia i soldi per gestirla come una società di serie B?
Io te lo dico: la faccia in televisione (e non solo) magari ce la metterai tu, ma il nome che porti in giro è quello della mia città, e io di quattro anni di figure da morto di fame mi sarei anche stancato.

NubeDT

Lascia un commento