IDEE DI GIOCO PER UN CLUB SENZA APPEAL


Le ultime due gare di Nations League sono quindi passate in archivio, con la bella performance della nostra Nazionale che di slancio ha centrato la qualificazione alla Final Four battendo Inghilterra e Ungheria (in casa sua): due risultati prestigiosi, contro un avversario quotatissimo (che aveva tutto l’interesse a non perdere per non retrocedere in B e giocava al completo contro le nostre riserve) il primo, contro una delle squadre europee più in forma (e proveniente da un grande girone di Nations oltre che da un Europeo in cui aveva messo in riga e fatto tremare Germania e Francia, costringendole al pari in affannosa rimonta) il secondo. Ancora oggi la gente si chiede come abbia fatto, peraltro per la seconda volta di fila, una Nazionale che sa essere così vincente (e campione d’Europa in carica) a mancare a questo punto davvero clamorosamente la qualificazione mondiale.
Forse la risposta è complessa, forse semplice: abbiamo affrontato tre gare decisive del girone (Bulgaria, Svizzera al ritorno e Irlanda del Nord) nel nostro peggior momento di forma fisica, con un numero intollerabile di assenti (tra cui i due che più garantiscono accelerazioni e cambi di passo all’Italia manciniana, ovvero Chiesa e Spinazzola). Che poi, alla storia passeranno i due rigori di Jorginho contro una Svizzera miracolata (avremmo meritato di stravincere, soprattutto nella gara in casa loro), ma la realtà è che in 4-5 partite, compreso il playoff contro la Macedonia del Nord, abbiamo sbagliato forse ottanta palle gol nitide. E nel calcio ci sta che l’avversario vinca col suo unico tiro in porta.
Una concatenazione di fattori, quindi, che ha portato a un esito infausto ma forse (col senno di poi) immeritato o che comunque non rende l’idea del vero valore dell’Italia – che dovrebbe solo rimediare al suo unico vero problema, che è la mancanza di una punta di caratura internazionale o quantomeno la capacità di far rendere anche sui palcoscenici delle gare delle nazionali Ciro Immobile (che comunque si avvia pure ad avere un’età).
Forse Raspadori saprà bene incarnare questo ruolo nel futuro; forse saprà farlo quello Scamacca che qui conosciamo bene, per ironia della sorte, perché a lungo nell’estate della stagione 19-20 lo abbiamo invocato, prima che andasse ad Ascoli (in serie B come noi) – e Trinchera a fine mercato ci disse in conferenza stampa che era folle pensare che potesse scegliere Cosenza, visto che noi non abbiamo appeal.


E così veniamo a noi, quelli senza appeal.
Da allora le cose non sono poi cambiate di molto; anzi, si ha l’impressione che solo l’incaponimento di Gemmi nei confronti della proprietà abbia consentito di poter arrivare a quella tipologia di giocatori (vedi D’Urso) e di operazioni (titolo definitivo) che fino all’altro giorno erano completamente al di fuori della nostra portata per scelta precisa del proprietario del club.
Del resto, sempre tornando a quell’estate 2019 in cui si preparava la stagione 19-20 (quella di Asencio, Rivière e della salvezza all’ultimo minuto grazie al gol di Garritano in Chievo-Pescara), abbiamo ancora tutti in mente come l’allora DS Trinchera avesse sostanzialmente concluso col Trapani l’acquisto a titolo definitivo di Nzola, che oggi i suoi gol (non pochi) li segna in serie A da un paio d’anni – acquisto saltato proprio l’ultimo giorno di mercato perché alla nostra proprietà l’impegno economico già concordato non andava bene. Ce lo ricordiamo, sì?
Ci ricordiamo che quell’operazione si concluse con un’indecorosa lite nella sede del calciomercato tra i dirigenti delle due società, quasi venuti alle mani davanti a tutti, giornalisti compresi (e quelli di casa nostra pietosamente nascosero la notizia)?
Ci ricordiamo che in quell’ultimo giorno di mercato, per ovviare alla drammatica mancanza in rosa di un centravanti degno di questo nome, si mise in piedi un altrettanto indecoroso balletto che dopo Nzola coinvolgeva il misconosciuto Rosseti e il misconosciuto Tupta e si concluse con un ridicolo pugno di mosche in mano?
Ci ricordiamo che solo l’amicizia di Lazaar con Rivière, rimasto svincolato, ci consentì per miracolo di ingaggiare il centravanti che poi si rivelò determinante per la solita salvezza disperata?
Ecco, noi ce lo ricordiamo.
I veri tifosi secondo me pure.
E magari fa pure un po’ strano che a dare il via a questo gorgo di ricordi, come una madelaine proustiana immersa nel suo the, sia stato Scamacca, oggi centravanti da Premier League che indossa regolarmente la maglia azzurra. Ma tant’è: c’è di positivo che oggi un passato di serie B cominciamo ad averlo, quantomeno, rinverdendo i fasti degli anni 90; quelli di oggi sono indubbiamente anni di sofferenze e rabbia, però siamo ancora vivi e sempre qui in cadetteria, di riffa o di raffa (e forse come abbiamo fatto ogni volta a scamparla non lo sappiamo bene fino in fondo neppure noi).
Ma lasciamoci pure il passato alle spalle, purché si sia sempre sicuri di ricordarsene: nel presente, la squadra rossoblù è tornata al lavoro agli ordini di Dionigi, ancora come allora avvinghiata alla serie B con le zanne e gli artigli. Il presente è la gara in serale che ci attende al Marulla dove verrà un Como dalla proprietà ricchissima ma dalle ambizioni al momento frustrate da un avvio di campionato particolarmente deludente. Loro metteranno in mostra Fabregas, noi dovremo rinunciare per oltre un mese al nostro gioiello Florenzi, che gli avremmo contrapposto volentieri. Tornare ai tre punti, che ormai mancano dalla seconda di campionato, sarebbe il migliore degli inizi dopo la sosta e ci consentirebbe di irrobustire una classifica che deve per forza di cose mantenersi sempre ben al di fuori dalla zona pericolo (potremo pure rilassarci per una stagione?) e scavare un solco rassicurante con le ultime posizioni, dove attualmente staziona proprio il Como.
La tifoseria rossoblù si aspetta Calò dal primo minuto in regia, con Brescianini finalmente nel suo ruolo di mezz’ala e dall’altra parte, se proprio Kornvig ancora deve imparare il congiuntivo e il gerundio, Voca con compiti di interdizione – lasciando a Calò finalmente la costruzione del gioco. Ci si aspetterebbe anche finalmente un accantonamento del 4-2-3-1 che in termini di gioco si è dimostrato assolutamente improduttivo, con la restituzione di D’Urso al suo ruolo di trequartista centrale in un 4-3-1-2 che a tutti sembra più congeniale alle caratteristiche della rosa (e che gioverebbe anche agli attaccanti, anziché lasciare isolata un’unica punta centrale che palloni non ne vede mai).
Ci si aspetta, soprattutto, che Dionigi abbia sfruttato questi quindici giorni di pausa per lavorare con la squadra appunto su questo.


Magari oggi i mezzi, in fondo, un po’ li abbiamo.
D’Urso, lo abbiamo visto, è dei nostri a titolo definitivo, come Calò (in prestito con condizione per l’obbligo di riscatto già verificatasi): insomma, pure convincendo o costringendo obtorto collo chi in passato ha ad esempio visto i contratti pluriennali come fumo negli occhi, un minimo di appeal è venuto anche a noi alla fin fine – e credo e reputo che oggi l’allenatore del Cosenza (seppure oggettivamente alla guida tecnica di una squadra che continua a essere costretta a dare il 110%, rispetto alle altre, per restare affannosamente a galla nella categoria) abbia abbastanza mezzi per offrire uno spettacolo calcistico decente e non partire già sconfitto contro avversari troppo forti per noi, cosa che ignominiosamente avveniva invece negli anni scorsi.
Oggi Dionigi la qualità teoricamente ce l’ha a disposizione. Il fatto che spesso critichiamo la politica societaria e appoggiamo in pieno le dichiarazioni pubbliche di chiunque abbia a cuore il Cosenza e nel bagaglio una notevole esperienza calcistica (buoni ultimi cronologicamente Mangiarano e Gagliardi) non ci porta certo a rinnegare la circostanza che comunque, grazie a un mercato nonostante tutto condotto almeno con buona volontà dal DS, qualche elemento che sappia prendere a calci un pallone è arrivato anche qui – e starebbe tutto a schierarli in maniera consona, questi elementi, ognuno nel suo ruolo naturale e inseriti in un modulo di gioco a loro adatto.
Se l’appeal non scende in campo, Calò e gli altri grazie al cielo sì.
Inutile girarci intorno: a partire dalla gara contro i lariani, vogliamo tutti vedere finalmente il Cosenza mettersi a giocare a calcio. Balbettare non-azioni di gioco, senza arrivare al tiro mai e senza mai consentire alle punte di potersi rendere pericolose, non ci basta più – ci basterebbe magari se portasse ancora punti come ne ha portati finora (non tantissimi ma sufficienti), poiché però ovviamente non esiste alcuna garanzia di ciò sarebbe preferibile mettersi in condizione di farli da noi, i punti, senza attendere colpi di fortuna o retropassaggi avversari che gentilmente ci mandano in porta. Il modo per metterci nelle condizioni di fare punti che siano meritati e non estemporanei esiste ed è quello, appunto, di giocare a calcio. Semplice o complicato non importa, ma calcio.
Speriamo che Dionigi sia della nostra stessa idea.

NubeDT

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