LE ULTIME PAROLE FAMOSE.

Dittatore
Un dittatore è una persona che detiene il potere assoluto e lo esercita in modo dispotico, autoritario, totalitario e basandosi sull’uso indiscriminato della forza e della sopraffazione.

La libertà d’espressione è una delle dimostrazioni più pratiche e belle del fatto che viviamo nella Democrazia. Lo ricorda anche l’Unione Europea – ne facciamo parte, no? – nella Carta dei diritti fondamentali, l’art.11 al punto 1 recita:Ogni persona ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera.”
Su quest’ultimo punto, i limiti di frontiera, mi voglio soffermare un attimo. Per frontiera non si deve necessariamente intendere una linea che separa il confine fra due stati. Si può anche intendere, idealmente, anche un luogo specifico e particolare dove ci si può riunire a manifestare, incontrarsi o a passare il tempo in un modo specifico. Dico questo perché lo stadio di calcio rientra a pieno in questa analisi.
Da tempo le Società di calcio sono chiamate a rispondere della sicurezza degli impianti di gioco in cui si svolgono le partite casalinghe. Questo per responsabilizzare e rendere tutti – Società e supporters della stessa – consapevoli che bisogna comportarsi con criterio durante una partita, anche se si cova rabbia o disperazione.
In concreto le manifestazioni sportive sono uno spettacolo. E non tutto è concesso.
Il fatto è che l’emanazione del regolamento che si accetta tacitamente quando si entra nello stadio al momento dell’acquisto del biglietto serve più come linea guida per delimitare meglio alcuni doveri all’educazione ed al rispetto degli altri nel comportamento, non imporlo. Infatti, se volete perdere un po’ di tempo, vi basterà andare nei vari siti delle Società di calcio di serie A e B e scaricarvi i rispettivi regolamenti e notare subito come lunghezza, specificità e struttura degli stessi vari da squadra a squadra. Alcuni sono lunghi giusto una paginetta. Perché si deve anche dare per assodato che in una società civile le persone sappiano abbastanza bene come si devono comportare in un luogo pubblico. Chiaro?
Quindi, i suddetti regolamenti andrebbero percepiti più come un “refresh” del comportamento più consono durante lo svolgimento di una partita, dal momento che si entra. E che si rinnova ogni volta che si acquista il biglietto della stessa per accedere all’impianto preposto ad ospitarlo. Poi, se uno lo viola in maniera eclatante, sa a cosa può andare incontro come sanzioni.
Rimane però la libertà d’espressione che, in quanto sancita dalla Costituzione, se manifestata correttamente non può essere vietata dal suddetto regolamento.
Il fatto è che a Cosenza tutto questo è stato vergognosamente reinterpretato come un’arma per tenere a bada (o anche eliminare) chiunque provi a manifestare il suo dissenso verso la Società.
E badate bene, qui si manifesta dissenso, in maniera urbana e nel pieno rispetto della libertà di espressione, non certo mettendo a repentaglio l’ordine pubblico, ma solo facendo sentire – più che civilmente, come ampiamente dimostrato – la sua voce.
Sia essa singola o di gruppo.
La reazione a tutto ciò non è stato un (abbastanza ovvio per una Società di calcio normale, cioè che ha a cuore l’umore dei suoi tifosi) tentativo di comprensione. No, assolutamente. E’ partita la repressione! Prima subdola e sotterranea – le multe alla tifoseria , le perquisizioni col metal detector anche a donne e bambini in partite dove la tifoseria avversaria era inesistente –, poi fin troppo evidente. La reazione (che ha compreso anche segnalazioni fuoricasa, oltre al solito spettacolo indecente che la gestione Guarascio offre ogni anno), è stata quindi commisurata alla repressione. Fuori dal campo. Qualcuno però non è riuscito a staccarsi del tutto dal dover essere presente allo stadio. E, senza che nessuno gli rinfacciasse qualcosa, è andato a dare il suo sostegno.
E qui arriviamo alla farsa che è venuta fuori domenica scorsa.

Chiunque frequenti da tempo i gradoni del San Vito/Marulla conosce (anche di vista) Massimo Mazzotta. Tifoso vecchio scuola – che se può segue la squadra ovunque – che non è difficile incrociare in curva. Affabile, pronto a parlare con tutti di tutto (non solo di calcio) e sempre molto appassionato nel seguire la partita.
Orbene, domenica Massimo era allo stadio. Da tifoso era lì per dare sostegno, nonostante comprenda i motivi della diserzione, ma non riesce a stare fuori.
E questo va rispettato.
Ma, come ha raccontato lunedì sera nella trasmissione di Fabio D’Ippolito, non manca di rimarcare come lui si lì per la squadra, non per la Società. Tant’è che quando ha visto Guarascio avvicinarsi alla curva nord, senza problemi gli ha gridato tutta la sua indignazione per come gestisce la Società.
E lo ha fatto con tutta la civiltà (quindi senza parole volgari o offensive) e il diritto che la libertà di espressione e persino il “regolamento” dello stadio gli consente: in sintesi, il gettonatissimo invito al presidente a lasciare la società, che fino a prova contraria non offende nessuno e rappresenta semplicemente l’estrinsecazione dell’opinione di Massimo Mazzotta (e tanti come lui) su come Guarascio gestisca il Cosenza.
Se a questo ci aggiungete che, come da immagine che ho messo all’inizio del pezzo, è stato lo stesso Guarascio poco tempo fa ad invitare i tifosi a venire allo stadio a sostenere la squadra anche contestando lui, direi che quello che è accaduto dopo va oltre il grottesco!
Stando alla sua ricostruzione – che è attendibile al 100%, dato che l’ha fatta in televisione, cioè pubblicamente, e che la Società non ha minimamente smentito! – , alla fine del primo tempo due steward gli si sono avvicinati dicendogli che era stato individuato, e intimandogli di lasciare lo stadio altrimenti rischiava di essere daspato! Date le sue proteste e la sua irremovibilità, hanno lasciato che potesse continuare a rimanere. Ma, sorpresa sorpresa, a fine partita lo stesso Massimo è andato a chiedere delucidazioni a qualche agente della Digos lì vicino, e questi sono caduti dalle nuvole, affermando che non c’era stata nessuna segnalazione!

Ora, che Guarascio non mantenga la parola data – anche quando la regala pubblicamente – non deve sorprendere. Che sia un vanesio che odia più di tutto essere sbeffeggiato davanti davanti ad altri e sia pure vendicativo al riguardo, nemmeno. Ma se si deve addirittura organizzare un servizio d’ordine che minacci (perché è evidente che Mazzotta ha subito una minaccia!) un tifoso che dentro lo stadio dice cose che ha il diritto di esprimere in qualsiasi altro campo da calcio, bè allora siamo andati molto oltre i diritti ed i doveri di una Società di calcio!
All’inizio del pezzo ho messo una definizione da vocabolario, mettendo in grassetto dei punti salienti. Forse qualcuno lo troverà eccessivo o inappropriata come associazione, ma a convincermi a farlo non è stato solo quello che Mazzotta ha subito e raccontato. E’ stato il resto!
Ricordate l’art.11 della Carta dei Diritti fondamentali della Unione Europea? Ebbene, per esteso quell’articolo riguarda (testualmente ) la Libertà di espressione e d’informazione.
Vi risulta che qualche giornalista, tranne i soliti, dopo che D’Ippolito ha dato il microfono a Mazzotta, sia andato a rimarcare pubblicamente l’episodio, già di per sé gravissimo? Nulla.
Silenzio più assordante non si era mai sentito. Eppure è una notizia, no?
Ma vado oltre. Le stesse cariche istituzionali – che, visto che fanno politica ( e quindi della cosa pubblica se ne occupano quotidianamente ) e che quell’articolo lo dovrebbero conoscere benissimo – dove sono ora? Il Sindaco? Il Presidente della Regione? Lo stesso Nicola Adamo? Dove sono tutti questi illustri “concittadini” di Massimo Mazzotta, che è stato vittima di una vessazione inaudita?
Possibile che gli unici attestati di stima e solidarietà gli siano arrivati solo dai tifosi e dai normali cittadini di Cosenza? Strano a dirsi, eppure è cosi. O forse no, non deve essere considerato così strano. Da altri parti potrebbe esserlo. A Cosenza, dal 2011, non più.
Ed è per questo che ho sentito il dovere di usare quella definizione. Perché è ora di comprendere se quello che è successo, con le ultime parole famose (ma ormai sarebbe più corretto definire famigerate) non rispettate nemmeno stavolta, in virtù di una non meglio definita dittatura sportiva, sono delle demenziali follie di una ridicola Società, o di fatto una illegale e molesta sopraffazione nei confronti di chi ama questi colori. Rifletteteci.

Nel frattempo, lunga vita ai tifosi come Massimo Mazzotta.

Sinn Feìn

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