BOY SCOUT

Vi chiedo di fare, con me, un salto temporale all’indietro di quasi un anno: è mercoledì 12 agosto 2020, sono le ore 19:30 circa, il Cosenza si è salvato da appena 12 giorni nel modo rocambolesco e fortunoso che tutti conosciamo, quando il direttore sportivo Stefano Trinchera si reca in sede per incontrare il presidente. Si illude, il DS meschino, grazie allo scampato pericolo ed alla grande paura di poter passare all’incasso – come se non sapesse con chi ha e che fare. Così chiede per sé un adeguamento contrattuale (sia dal punto di vista economico sia nella durata) delle garanzie dal punto di vista del budget per la prossima stagione, un minimo di libertà in più per la programmazione e, per concludere, un paio di talent scout che lo aiutino nella ricerca dei prospetti, di quei giocatori cioè dal talento puro, magari ancora inespresso, che costano poco e costituiscono (mediante la promessa di plusvalenza) la vera ricchezza su cui fanno business le più avvedute società di calcio. Ovviamente, la risposta del presidente è un secco no a tutte le richieste, tant’è che volano gli stracci ed i toni della discussione si alzano anche in termini di decibel: chi si trova nei paraggi giura di aver sentito distintamente le voci dei due. Da quel summit – c’è da giurarlo – è derivata poi, in modo assolutamente negativo, buona parte della pessima stagione che abbiamo appena vissuto. Ma questa è un’altra storia. 

Torniamo alla figura dell’osservatore calcistico per capirne un po’ di più. Un professionista talent scout si occupa di individuare, monitorare e analizzare ragazzi promettenti e giocatori con capacità idonee ad assecondare esigenze di schema e di gioco di una squadra, oltre che di stilare relazioni tecniche sui calciatori visionati, per poi valutarne assieme alle componenti tecniche societarie, l’eventuale acquisto. L’attività di scouting in genere parte da segnalazioni che arrivano da procuratori amici e dalla fitta rete di conoscenze che ciascun buon osservatore deve avere. Altri strumenti essenziali derivano dalle ormai imprescindibili tecnologie multimediali (video, piattaforme come WyScout ed anche software ed app informatiche) cui seguono, infine, le classiche osservazioni in situ, vale a dire l’osservazione in presa diretta, durante partite ed allenamenti, dei calciatori attenzionati. Quindi una figura che è tutto, fuorché banale, anche perché oltre che sugli aspetti squisitamente tecnici, in genere è preparata anche su quellli burocratico/amministrativi. Peccato non la pensi così anche Guarascio il quale, a precisa domanda, aveva recentemente giudicato per niente strategico e centrale il ruolo degli osservatori, a suo dire facilmente sopperibile mediante la semplice visione di filmati da reperire su YouTube. Attività che per lui, dunque, potrebbe fare chiunque, compreso il tanto a lui caro, tifoso di strada!

Se questa è la sua idea, però, davvero mi è difficile capire un’incongruenza – una delle tante, a dire il vero – che si vive in seno alla Società di via degli Stadi. E vengo così a chiarire anche il titolo di questo articolo, boy scout, che niente ha a che spartire con l’associazionismo dedicato ai giovani, già fondato da Baden Powell. Ebbene, la cosa singolare è che, a stare con quanto riporta il sito ufficiale del Cosenza Calcio, parrebbe che al coordinatore del settore giovanile, Sergio Mezzina, sia stato concesso quanto è invece stato a muso duro negato a Trinchera. Infatti, leggiamo con stupore che dell’organigramma societario del Cosenza fa parte il sig. Benedetto Pugliese (foto tratta dal sito ufficiale del Cosenza Calcio), vale a dire il responsabile scouting del settore giovanile (parafrasando l’osservatore dei ragazzi, ecco il boy scout). Viene indicato addirittura come responsabile, quindi, verrebbe da pensare che ci sia una rete di osservatori al servizio delle giovanili del Cosenza, coordinata dal buon Pugliese. Bene, anzi, benissimo se questo fattore può, ad esempio, aver contribuito a determinare il buon 7º posto in classifica dei lupacchiotti della Primavera. Sicuramente un risultato ben più di successo, rispetto alla laconica retrocessione fatta registrare dai “grandi”. 

Concludo questo pezzo lasciando al lettore lo spunto di riflessione su quanto detto finora ed un quesito – uno dei tanti misteri che avvolge il Cosenza di Guarascio, incapace di comunicare e di muoversi in trasparenza –  al quale io non sono stato in grado di dare una risposta: perché alle giovanili si è concesso di strutturarsi in modo più o meno (mancano sempre le infrastrutture eh, non ci si illuda troppo!) adeguato ed invece per la prima squadra, quella attorno alla quale girano i soldi veri, è stata rifiutata un’organizzazione che ne permettesse la crescita? Ai posteri l’ardua sentenza!

Sapiens

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