A RIVEDER LE STELLE

«Probabilmente è stata tutta colpa di quel gol a freddo, anche se il gol a freddo non lo abbiamo fatto noi, che eravamo freddi – mentre gli altri erano caldi e incazzati – poi Van De Looi continuava a segnare, poi pure Moreo. No, non il nostro – peraltro diventato da poco ex – tutti, tutti hanno segnato, tutti


E andiamo. Brescia-Cosenza è finita esattamente come ci si aspettava, anche se tutti ci eravamo disperatamente messi davanti agli schermi e insensatamente abbiamo sperato. Cosa? Nemmeno lo so. Eppure il tifoso è così, in fondo sotto sotto confesso di avere sperato persino in occasione della trasferta di Coppa di Firenze affrontata coi ragazzini, ci mancava che non sperassi in chissà cosa anche per Brescia da dove invece è arrivata la preventivata quanto rovinosa – nel punteggio – seconda sconfitta consecutiva in campionato nelle prime due partite (terza contando appunto anche Firenze: tre gare ufficiali in stagione, tre sconfitte, dieci gol subiti e uno segnato quasi casualmente: per carità di patria omettiamo poi il numero dei tiri in porta fatti e subiti in tre gare e delle occasioni da gol).
Brescia-Cosenza è stata umiliante dal primo al novantesimo, e intendo dal primo al novantesimo letteralmente: credo che ci siano poche umiliazioni calcistiche più grandi che vedere l’arbitro, sia a fine primo tempo sia soprattutto a fine partita, emettere il triplice fischio esattamente allo scoccare dei novanta minuti, ondeggiando tra la fretta di chiudere la pratica inutile e la pura pietà (mister, lo vuole il recupero?). Un triplice fischio che in fondo è stato una liberazione per tutti, quella di quando passa l’angioletto e dice amen.
Quando è successo i palloni entrati nella porta di Saracco erano stati intanto cinque. Forse il doppio, invece, le palle gol avute dalle Rondinelle, compresa una traversa più un gol annullato. UN imbarazzante possesso palla a favore dei biancoazzurri di casa tipo 75 a 25. Una differenza di qualità e tecnica sconfortante. Abbiamo visto le stelle, come nello scorso campionato.


Chiuso l’amarissimo capitolo dell’avvio di stagione che doveva portarci alla sosta, che per noi è stata (e continuerà almeno fino a Cosenza-Vicenza del 12 settembre) mera preparazione precampionato (mentre per gli altri è campionato pieno, quello in cui si corre, si è pronti, completi e ci si arriva in condizione – e si è visto), ci si aprono davanti gli scenari che preconizzavamo: ultimi due giorni di mercato, disperata ricerca di quei giocatori che possano far fare alla squadra il salto di qualità necessario per competere in serie B – cosa impossibile, spero lo abbiano capito tutti, con la rosa attuale. Si guarda a Goretti con speranza (si spera non la stessa folle di cui sopra, che ci ha accompagnato alla trasferta di Brescia) e a Guarascio con un misto di sentimenti forti.
Questa squadra è ampiamente destinata a una retrocessione ancora più amara di quella della scorsa stagione e a inanellare, se restano così le cose, una serie di figuracce nel punteggio simili a quella di Brescia, ripercorrendo le orme che negli ultimi anni sono state di Livorno e Cittadella. Perché il Cosenza sia all’altezza della competizione servono non solo sei elementi di numero (non dico in quali ruoli, tanto è un esercizio in cui si sono già cimentati tutti gli altri e sono tutti più o meno d’accordo), ma sei elementi di categoria veri, di alta serie B, sei titolari che sarebbero tali anche in quasi tutte le altre compagini. Solo che obiettivamente nessuno si aspetta che il Cosenza metta in campo la forza economica necessaria per portare elementi del genere, in numero di almeno sei, alla corte di Zaffaroni. Nessuno, nemmeno tra i tifosi rossoblu.
E allora sediamoci a riflettere su questo.


Di calciomercato spicciolo si è già parlato e si parlerà su questo blog per interposta penna del nostro esperto, addentratissimo negli intrighi della fiera dei sogni per come avete potuto leggere ieri: esperto che ha il buon gusto di non inventarsi che stiamo prendendo Budimir, sondando Forte e per Maistro ormai è fatta, quindi potreste trovare un po’ deludenti i suoi pezzi se andate alla ricerca di bombe di mercato che non esistono: ma noi con questo blog non monetizziamo, quindi non abbiamo bisogno di becero clickbait e certamente non vogliamo illudere nessuno; raccontiamo la realtà, persino quando si parla di calciomercato, e la realtà da molti anni a questa parte, relativamente al calciomercato del Cosenza, è che la fiera sarà dei sogni per gli altri (che prima, appunto, sognano, e poi li vedono realizzati vedendosi arrivare Galabinov, Pettinari, Donnarumma, Iliev, Lucca, Maistro – già, lui: ad Ascoli…) mentre per noi è l’ennesimo simposio avanzato di economia e gestione micragnosa delle imprese.
Lascio quindi l’argomento specifico all’esperto – compreso il valzer che riguarda Anderson, i due attaccanti, i due centrocampisti, Vigorito, Canestrelli, Rivière, eccetera – perché vorrei affrontare la questione con una visuale più generale. Perché quando il discorso si riduce all’essenziale c’è una cosa che va chiarita, a mio modo di vedere, riguardo il calciomercato del Cosenza, ed è probabilmente la radice di tutti i nostri mali.
La prendo larga. Vorrei fare l’esempio di Lucca, nuovo bomber del Pisa, ribadendo da subito – e poi lo specificherò di nuovo – che è solo un esempio. Lorenzo Lucca è un 2000 di oltre due metri d’altezza: centravanti scuola Torino, di passaggio al Brescia, è esploso nella scorsa stagione in serie C, a Palermo, dove a vent’anni ha messo a segno ben 13 gol in 27 partite mostrando un vasto repertorio di prodezze (virale il video che lo vede segnare su punizione all’incrocio da trenta metri) che gli hanno fatto assumere le stigmate del predestinato. Su di lui, come detto, è piombato il Pisa, che se lo è assicurato acquistandone il cartellino con moneta sonante e facendogli firmare un blindatissimo contratto fino al 2026.
Quanto è stato pagato il cartellino di Lucca? Transfertmarket lo valuta 300mila euro, ma – pur non scadendo nell’esagerazione di aggiungere uno zero alla cifra – si può ritenere che siano corrette le informazioni per cui il club toscano abbia versato quasi due milioni per assicurarsene le prestazioni. Cifra del tutto congrua per un predestinato, che all’esordio casalingo in serie B ha stampato a tabellino una clamorosa doppietta.
Qual è il punto? Il punto è che così si fa calcio. Anche in serie B.
Ricordiamoci che stiamo parlando del Pisa, non di un Benevento o un Crotone che oggi possono contare sulle decine di milioni di paracadute che intascano le retrocesse dalla A, non di un Monza, Como o Lecce dalle proprietà ricchissime, eccetera. Parliamo del Pisa. E parliamo di meno di due milioni, ammesso che sia questa la cifra, non di venti.
Lucca non è un esborso esorbitante che il Pisa piange, oggi come oggi. Non è una mera voce in uscita dalle cifre folli (comunque sempre meglio per lui che per oneri diversi di gestione). Lucca è quello che in economia si definisce un asset. Fa parte del patrimonio. Contrattualizzato come detto fino al 2026, Lorenzo Lucca mantenendo le promesse e le premesse può portare nelle casse del Pisa anche cinque volte tanto quanto è costato – magari dopo aver segnato a ripetizione tutti i gol necessari a portare i nerazzurri, chissà, ai playoff (e poi, una volta lì…).
Ora è il caso di ribadire: non sto dicendo che il Cosenza dovesse prendere (proprio) Lucca. Oddio, sì, in effetti mi sarebbe piaciuto, lo avevo visto in qualche partita col Palermo e si vedeva fin da allora che aveva e ha dei mezzi impressionanti, ma possono essercene altri così: quello che voglio dire è che io da tifoso esigo che il Cosenza persegua finalmente questa politica, esattamente come tutte le altre società della cadetteria. Che punti ai giocatori forti, che miri ad accaparrarseli di proprietà e che quando si arriva al punto apra i cordoni della borsa e destini a questi giocatori almeno un po’ dei milioni che incassa solo per il fatto di esserci, in serie B – e magari pure qualcosa dalle tasche del presidente, che si ingrossano anche coi soldi provenienti dal mio portafogli nel pagare le tasse comunali da cui poi vengono le somme che lui incamera relativamente all’appalto della spazzatura. Magari qualcosa pure dalle tasche del presidente, visto che è lui che dovrebbe assumersi il rischio d’impresa.
In ogni caso, lo ribadisco ancora, Lucca era solo un esempio.


Veniamo al Cosenza, dunque.
Il Cosenza operazioni come quella che ha portato Lorenzo Lucca in Toscana non ne fa. Non ci pensa proprio. Non vuole e non può, per dirla con le parole di Trinchera: in realtà semplicemente non vuole, perché di potere, la società del presidente Guarascio potrebbe benissimo. Ozioso sarebbe ricordare nuovamente che pioggia di milioni investe da questa stagione le società di serie B, campionato nel quale il Cosenza, da miracolato, è stato riammesso senza troppi meriti – trovandosi così a riempirsi le tasche quando il realtà si era tutti noi attesi a Francavilla e Vibo.
Non voglio nemmeno dilungarmi sugli ormai famigerati oneri diversi – ché qualcuno trova noioso l’argomento, e sai com’è, i tifosi devono pensare solo a tifare. Non voglio sottolineare altro che questo: il Cosenza operazioni di questo tipo, che sono più o meno la normalità in categoria (il Venezia ripescato un anno prima ha messo un milione e mezzo sul piatto per comprare Forte dalla Juve Stabia e ci è andato in serie A), non ne fa.
Il Cosenza prende solo svincolati e prestiti – meglio se con valorizzazione, così a Guarascio (che ci ha preso moltissimo gusto quando ha incassato mezzo milione dalla Samp per il controriscatto di Falcone più altri 250mila euro per, appunto, la sua valorizzazione) entra in tasca qualche altro graditissimo obolo. Il Cosenza, da due anni, inizia la stagione con otto – quest’anno anzi sette, record clamoroso – giocatori di proprietà, alcuni dei quali rotti, altri fuori dai piani tattici, tanto che stavolta si è persino evitata la farsa del ritiro: unica società professionistica al mondo che non va in ritiro a preparare la nuova stagione. E del resto, che vuoi preparare se ci sono sette giocatori in rosa?
Un’azienda che lavora con gli enti pubblici e campa di appalti, quale Ecologia Oggi, a fronte di entrate fisse, certe e immutabili, più risparmia più incassa. Per capirci, se l’appalto della spazzatura ti porta in tasca 10, se spendi 4 incassi 6, se spendi 3 incassi 7, se spendi 5 incassi 5, e così via. Magari un compattatore per l’immondizia, quindi, anziché acquistarlo è meglio prenderlo a nolo, paghi di meno e quello che avanza è tutta pacchia. Guarascio come imprenditore è abituato a lavorare così, e purtroppo ha pensato (malissimo) di trasferire nel calcio questa politica, che è però totalmente incompatibile con la gestione di una società calcistica – e i risultati si vedono, sul campo (ahinoi) ma anche al calciomercato.
Il Cosenza, in buona sostanza, risparmiando fino al menefreghismo circa i risultati sportivi, affronta da banda di scappati di casa con una società di peones disperati (e felici, specie il presidente) un campionato in cui le avversarie, anche le meno quotate, fanno operazioni alla Lorenzo Lucca, presentandosi poi in campo con i frutti di questi investimenti (investimenti, presidente carissimo, suona familiare questa parola?) – e per frutti intendo i sopra menzionati due gol messi a segno dallo stesso Lucca al pronti via, il Brescia che contro di te a un certo punto manda in campo dalla panchina Bisoli, Palacio e Moreo (ancora: no, non Riccardone nostro, finito in C alla Pergolettese) e te ne rifila cinque, eccetera.
Molti tentano di fare passare da programmazione oculata questo scempio, scempio per cui a una certa a centrocampo arranca Boultam – che ci sarà un motivo se a ogni apparizione in B è finito a marcire in panchina, da Cremona a Salerno, e io quel motivo temo di averlo intravisto in queste due partite in cui ha giocato con noi – che si scambia palla con Vallocchia, svincolato dalla serie C, e prova a lanciare a sinistra Sy, altro panchinaro professionista, prima di lasciare il campo per Caso, idem come sopra. Scempio è la parola adatta – quantomeno la più gentile che mi viene dopo aver assistito a quest’ennesimo disastro sportivo che si inserisce in una scia di orripilanti oscenità a cui sto assistendo dall’anno scorso (alzi la mano chi si è accorto, dagli zero a tre e zero a quattro della scorsa stagione, dalla scoppola di Empoli nel finale di stagione 2020-21 a quella di venerdì a Brescia, che intanto è iniziato un nuovo campionato).
Perché noi siamo noi, e gli avversari sono altra cosa. Altro pianeta. Quest’anno più che mai.
Per restare a galla in questa serie B servono i Lucca, servono gli investimenti, servono gli osservatori, servono le strutture, serve un’altra società. Serve un presidente che autorizzi a spendere anche due milioni per un giocatore, quando si tratta di arrivare a un prospetto che può portare vantaggi sul campo ma anche come patrimonio da valorizzare. Serve un budget che sia almeno doppio, non voglio dire di più, rispetto a quello scandaloso che ogni anno Guarascio mette a disposizione dei poveri DS che si ingegnano a fare le nozze coi fichi secchi.
Tutto questo la piazza di Cosenza deve pretenderlo. I soldi ci sono.
Altrimenti, e mi duole come non mai questa chiosa finale, Cosenza non merita la serie B, in cui in effetti è finita e ci si ritrova assolutamente per caso. Non la merita Guarascio, un presidente che non conosce la differenza tra la gestione della spazzatura e la gestione di una società di calcio, non la merita una società spilorcia e avida che i soldi vuole solo intascarli, non la meritano per quanto al momento fatto vedere in campo i vari Boultam, Valocchia e compagnia (speriamo che almeno da loro arrivi una minima smentita sempre sul campo), giocatorini presi apposta perché a costi ridicoli in modo che i soldi continuino a fluire nel calderone degli oneri diversi. E se nessuno alzerà la voce, vorrà dire che non la merita neanche la piazza – col silenzio evidentemente connivente o comunque consenziente – rispetto allo scempio.

NubeDT

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