CLAUDIO LOMBARDO – “IO, CALCIATORE A COSENZA. COSA HO VISSUTO, E COSA CONSIGLIO A CHI ANDRA’ A GIOCARCI.” 2^ PARTE.

Per la prima parte dell’intervista cliccare qui.

Quella stagione è triste anche perchè è la tua ultima con la maglia del Cosenza, dopo 5 anni. Perchè sei andato via? Cosa è successo ?

In realtà non è successo niente. Volevano comunque tenermi. Mi fecero un’offerta ma, credimi, molte società di serie B all’epoca mi offrivano tanto di più. E poi adesso, col senno di poi, ti rendi conto come è incredibile che l’età ti porta a fare ragionamenti diversi! Io probabilmente non farei più la scelta fatta in quel periodo, perché quando sei un ragazzo certe cose non le valuti correttamente. L’attaccamento alla maglia, il fatto di quanto sei rappresentativo per una città nonostante sei un ragazzo. Queste cose – credimi – non le valuti con il peso giusto. Sei molto più leggero, non stai lì a pensare “cavolo, sono un simbolo per la città, sono un guerriero per loro voglio rimanere qui!”. Non fai questi ragionamenti. Mi hanno dato tutto qui, notorietà, popolarità, guadagni, e poi io me ne vado via. A quell’età non fai questi discorsi, non li pensi, anche se oggi alcuni giocatori ragionano così. E allora in quel periodo volevo avvicinarmi a casa. Dovevo andare all’Ancona, ma avevo richieste anche dalla Reggina e dalla Salernitana. Ma all’improvviso l’Ancona sparisce. Rimanevano Reggina e Salernitana. La Reggina mi offriva molto di più, ma io come detto volevo avvicinarmi a casa, ed ho pensato che andando alla Reggina non sarebbe cambiato nulla, così ho accettato Salerno. Ma questo per i tifosi non poteva essere una giustificazione. Ma con la Società, la piazza, i tifosi non c’era stato nulla.

Infatti all’epoca fu argomento di discussione fra i tifosi sul perché te ne eri andato. Addirittura si pensava che fosse stata una scelta societaria, visto che venivamo da una stagione tribolata. Il tuo addio ha lasciato l’amaro in bocca. E, incredibilmente, la tua strada col Cosenza s’incrocia in un un’ultima, drammatica partita quell’anno. Lo spareggio per non retrocedere a Pescara!

Altrochè. Non mi sarei mai augurato quella situazione! Purtroppo è andata così. Avrei voluto fosse successo tutt’altro. Che il campionato fosse finito in maniera diversa, pur di non incontrare il Cosenza allo spareggio. E’ una cosa che non auguro a nessuno!

Come è stata quella finale? Avevi chiaramente un’anima divisa in due, perché eri stato sostanzialmente una colonna del Cosenza, e perdere con la Salernitana era una sconfitta doppia.

Si, poi considera che quell’anno, quando ero venuto a giocare a Cosenza, mi avevano fischiato tantissimo. E’ stato difficile per me venire lì. Considera pure che avevo deciso di andare via perchè dopo un anno di quel tipo – Simoni esonerato, torna Di marzio e ci salviamo per il rotto della cuffia, la morte di Bergamini – era stato molto pesante. Quindi anche la fine di quella stagione aveva fatto scattare la molla di cambiare. Dopo 5 anni ti senti un po’ oppresso. E quello ha certamente influito.

Ti vorrei chiedere una cosa che riguarda indirettamente la tua carriera ed il Cosenza. C’è un allenatore molto importante per te, che arriva nella tua carriera dopo Salerno, cioè Walter Novellino. L’anno scorso, non so se lo sai, stava per venire ad allenare il Cosenza. Poi è saltato tutto e non è venuto. Tu hai detto che come giocatore Novellino ti ha “rigenerato”. Cosa aveva fatto per rigenerarti? E secondo te come carattere, come modo di porsi, come si sarebbe trovato lui a Cosenza visto che l’ambiente lo conosci bene?

Si l’ho saputo. Io sono stato a Salerno due anni. Poi non mi avevano rinnovato a Luglio, ma Dicembre fui richiamato perchè – con Castagnini Direttore Sportivo – gli serviva un giocatore con le mie caratteristiche per chiudere la stagione. Quindi ho fatto due anni e mezzo Salerno. A fine stagione sarei potuto rimanere a Salerno, ma volevo cambiare. Al calciomercato non c’erano tanti movimenti per me e dopo quella stagione a Salerno c’erano un po’ di difficoltà. Non trovavo squadra: vado al calciomercato e Ranzani mi chiama e mi dice “vieni vieni che ti presento il presidente del Gualdo”. Io non sapevo neanche che cosa fosse il Gualdo! Sono storie bellissime, meno male che me le fai ricordare. Insomma Ranzani mi presenta il presidente del Gualdo, una società che aveva vinto il campionato della serie D due anni prima, ed era in C2. Io venivo da Salerno, altra piazza pazzesca dopo Cosenza, che era in C1. Cosa faccio? Loro mi propongono un biennale con Novellino allenatore. E io vado a Gualdo, avevo 29 anni quasi 30. E pensavo “se faccio male in C2, finisco la carriera qui”. Così scendo di categoria in C2, con Novellino allenatore e vinciamo il campionato andando in C1! L’anno dopo da neopromossa addirittura arriviamo allo spareggio contro l’Avellino per salire in Serie B – sempre a Pescara! – e Novellino dopo questi due campionati e lo spareggio va via. Io non avevo allungato il contratto, anche se il Presidente mi aveva proposto di allungarlo. Ma non l’avevo fatto, perchè volevo vedere dopo due anni come andava. Non mi chiama Novellino per dirmi “Ciao, ti porto a Perugia”? Quindi vado a Perugia in Serie B a 32 anni quando mai avrei pensato.E a Perugia cosa succede? Novellino dopo 2-3 mesi viene esonerano, arriva Galeone e vinciamo il campionato venendo promossi in Serie A! Avevo conquistato la A a Perugia quando non avrei mai più pensato fosse possibile. Giocavano con me Giunti Negri, Camplone, Goretti, Allegri. Fu uno spettacolo perchè mi sono guadagnato un altro anno di serie B a Lucca, e poi ancora due anni alla Carrarese in C1. E Novellino mi ha mi ha dato nuova linfa perché Novellino, nella sua cattiveria agonistica, è uno che tira fuori l’anima. Con lui a Gualdo – avevo già iniziato a giocare a zona con altri allenatori – sono stato messo centrale con dei movimenti a zona, con l’elastico a salire. L’aspetto difensivo era molto importante. Ed il centrale è un uomo importantissimo per lui, perché comandava la difesa a salire e scendere, e richiamava i compagni dei vari reparti. Mi ha dato veramente nuovo vigore, sia fisico che tecnico tattico. E quando dopo mi portò a Perugia non potevo crederci, a Perugia c’erano dei giocatori all’epoca della presidenza Gaucci come Giunti, Camplone, Cornacchini che guadagnavano 10 volte quello che prendevo io. Quindi vado a Perugia come un giocatore che ha fatto la C2 e la C1 a Gualdo, e mi faccio 30 partite in serie B essendo anche determinante. Quindi sì, Novellino mi ha allungato la carriera. Poi ha fatto sempre grandi stagioni come allenatore, perché è stato a Venezia, Napoli, Sampdoria, Piacenza, perciò ha fatto ottime cose fra B e A. Come si sarebbe trovato a Cosenza? A livello caratteriale lui secondo me è un cane arrabbiato, arriva quasi allo scontro con i calciatori perché è sempre borderline. E quindi è amore odio, qualche volta l’ho odiato, però mi ha tirato fuori tantissimo. Adesso non so ultimamente, perché lui non sembra ma ha 10 anni più di me. Ha 68 anni , quindi magari è invecchiato e non ha più quella carica nervosa rispetto a prima. Non lo so. Però sicuramente è uno che a livello caratteriale e nervoso ti tira fuori tantissimo. E la scossa te la da. Bisogna vedere fino a che punto lo avrebbero seguito a Cosenza, considera che lo hanno mandato via da Perugia perchè molti giocatori non lo hanno seguito, c’era bisogno di uno un po’ più schivo e tranquillo come Galeone. Non avevano bisogno di uno vulcanico come Novellino. Perciò magari non in tutte le piazze poteva essere apprezzato. Però a Cosenza in questi anni non so, ma in precedenza poteva dire la sua. Il calcio è cambiato per tanti, anche per lui, quindi molti allenatori che 15 anni fa erano determinanti adesso sono già superati. Può darsi che non siano più attuali adesso, è da valutare.

Goretti invece – che a Cosenza è venuto quest’anno a fare il Ds – che carattere ha? Ha fatto solo una conferenza stampa finora, quindi sappiamo poco: che tipo è?

Come ho detto, giocava nel Perugia con me nel 1995. Era un tifoso del Perugia da ragazzino, e per lui giocare in prima squadra era un sogno. Era un timido allora, visto che si affacciava a giocare in prima squadra, ma non subiva diciamo la caratterialità dei giocatori più grandi e più pronti di lui. Pur essendo timido, taciturno, era uno che il suo lo faceva senza condizionamenti. Aveva già una buona personalità da ragazzo, lì a Perugia. Poi ho fatto anche altri buoni campionati a Bologna. Era comunque uno che era rispettato. E il suo lo faceva senza essere troppo condizionato proprio perché aveva delle buone qualità, un buon fisico, e sapeva giocare. E a quel punto probabilmente non aveva necessità di essere cattivo, determinato così aggressivo come magari si richiedeva. Perchè gli bastavano le sue qualità. Non l’ho più visto dopo Perugia, non ci siamo più sentiti. Quindi non posso sapere come può essere come direttore sportivo. Ma è uno che comunque vuole fare il suo.

Claudio Lombardo, a destra, in una partita di qualche anno fa con Gigi Simoni.

Quando hai deciso di fare l’allenatore? Molti giocatori quando si ritirano, fanno scelte anche differenti. C’è chi si allontana del tutto dal calcio. Tu quando hai deciso che volevi fare l’allenatore?

E un po’ una conseguenza. Ho smesso di giocare tardi, molto tardi, a 38 anni. Poi ho fatto subito il corso allenatori, ma non è che io volessi fare l’allenatore per rimanere per forza del mondo del calcio. Ci stai perché primo non sai cosa fare a 38 /40 anni, non hai un lavoro, non hai altre possibilità. Non hai un nome tale per vivere di rendita o essere un simbolo. O andare ospite in trasmissioni televisive che ti facciano a guadagnare. Questo tipo di cose possono farle i Ferri e Bergomi – con cui ho giocato tra l’altro – quindi ho pensato “vabbè, inizio ad allenare un po’ i ragazzi”. Ho fatto qualche categoria, ma non ho mai avuto l’ambizione di allenare ad un certo livello. Lì ci vuole carattere, ambizione, voglia di andare ovunque, essere collegati con tantissime persone del mondo del calcio. Non è quello che ho fatto negli anni. Non ho seminato dopo aver giocato, ho tralasciato abbastanza. Quindi volevo rimanere nel calcio ma in categorie modeste, attorno a casa senza muovermi troppo. Difatti ho fatto sempre l’allenatore vicino a casa. Ho allenato in promozione, eccellenza e un po’ in Serie D. Ma sempre nel giro di 50 km da casa. Ma proprio perché non ero particolarmente ambizioso. Probabilmente era una cosa che non volevo fare. Poi non sono mai stato bravo a coltivare negli anni rapporti con le persone giuste, perché caratterialmente non mi va di dipendere troppo dalle persone o essere collegato a persone che poi mi costringono a fare certe scelte. Volevo essere più libero di muovermi come volevo, e ho scelto di fare questo. Quindi sono sempre stato allenatore in piccole categorie, portando a casa un piccolo stipendio o un rimborso ma senza particolari ambizioni.

Ma ti sei portato dietro anche un bagaglio di esperienza importante come calciatore, considerando anche quello che hai vissuto e imparato dai tecnici che ti hanno allenato.

Bè, si, perchè da tutti ho preso qualcosa. Poi, come dicevamo all’inizio, c’è il nuovo e il vecchio. Ad esempio tu ti porti le esperienze passate da calciatore con i tecnici che ti hanno allenato, e quelle attuali vedendo come allenano certi allenatori oggi. Le metodologie che sono cambiate, prendi un po’ di qua un po’ di là. Non mi piace essere antico, mi piace anche portare qualcosa di nuovo anche studiando da solo. Il calcio è anche cambiato, quindi vedi come si impostano certi allenamenti come fare una squadra. Uno può anche inventare, anche senza andare a studiare. Non è che sono uno studioso, non mi piace nemmeno, e non mi metto su internet tutto il giorno o leggo libri sul calcio, o guardo le trasmissioni televisive per apprendere. Studio da solo quello che posso apportare, quello che posso dare ai ragazzi.

Da giocatore professionista, hai avuto comunque modo di vedere, considerato che hai iniziato all’Inter, giocatori al massimo livello dell’epoca. Guardando quelli che ci sono adesso, cioè i giocatori top di oggi, è un’evoluzione un po’ strana o naturale? Vale a dire, il calcio di oggi è un po’ influenzato dall’aspetto Social, dalla tv , dal fatto che comunque si debba pubblicizzare sempre un giocatore, o ci può stare? I grandi giocatori sembrano più aziende. Si è perso un po’ l’aspetto umano?

Sì, l’esposizione mediatica adesso è enorme per i giocatori e quindi questo aspetto è cambiato tantissimo. È cambiato anche il comportamento dei giocatori all’interno di una squadra. Io per esempio alleno dei ragazzi che magari nel momento in cui entrano negli spogliatoi hanno le cuffie. Tu gli parli, ma poi vanno nella camera di là e alzano la musica. Non so, sembra che vivano in un mondo loro. Questo non è che mi piaccia tanto. L’impressione non è sempre positiva. Però ho avuto a che fare con ragazzi che ascoltano ancora, che ti seguono e che ti apprezzano. Ti stimano, e questo è il lato bello. Mi sembra che ci sia più distacco tra allenatori e giocatori. Ognuno fa un po’ per conto proprio, no? Mentre prima l’aspetto spogliatoio era globale, coinvolgeva un po’ tutti, adesso mi sembra che che ognuno sia azienda di sè stesso. E quindi invece di pensare al gioco di squadra si pensa un po’ al gioco personale. Ma è difficile e bisogna distinguere tutto questo. Perché in ogni squadra ci sono dei top player, che sono un po’ al di sopra di tutti. E questi sembra facciano parte un altro mondo, sono intoccabili o quantomeno si debbano gestire da soli e vogliono gestirsi da soli. Però magari in un gruppo di 20 sono quattro/cinque questi giocatori, gli altri invece fanno parte di un gruppo che deve tirare la carretta e deve ascoltare quello che dice il mister, devono essere rigorosi in certi aspetti tattici. Mentre per alcuni può darsi che ci sia veramente libertà in campo. Adesso l’aspetto di Ronaldo è eclatante, però magari ci sono tante altri calciatori che essendo un gradino sotto sono gestiti molto dai procuratori. E alla fine fanno un po’ per sé, essendo meno coinvolti in un gruppo. Poi adesso gli allenamenti sono individualizzati, magari i giocatori si trovano anche poco in campo perché – mentre uno è sul campo l’altro fa palestra – si fanno altre cose. Una volta non succedeva, perché il gruppo faceva le stesse cose. Adesso in un gruppo ci sono 10 sottogruppi che fanno cose diverse l’uno dall’altro. Magari a volte non ci si incontra in campo durante gli allenamenti. E questi è un paradosso. Io, credimi, il calcio professionistico non lo vivo da vent’anni, e non so esattamente come si allenano le squadre di Serie A e Serie B. Non ho neanche mai fatto visita un ritiro per per una settimana. Queste cose non le vivo più realmente E allora vado avanti con i miei sistemi, col mio modo di fare con dei ragazzi, e questo mi dà molta soddisfazione. Perché mi sembra di essere attuale, ma con con i principi di di prima.

In chiusura, visto che siamo alla fine del calciomercato, se dovessi dare un consiglio a chi arriverà Cosenza quest’anno per giocare, cosa diresti? Cioè cosa troverà Secondo te come ambiente, e cosa gli puoi dire per aiutarlo a inserirsi meglio, visto che comunque è un ambiente nuovo quello di Cosenza per loro.

Eabbastanza difficile, però conoscendo l’entusiasmo che a Cosenza c’è tutt’ora – non dimentichiamo che c’è stata una retrocessione ed una riammissione – a Cosenza c’è talmente fame e voglia di fare un campionato di alto livello. Quindi un giocatore deve essere pronto, nel momento in cui viene lì, a ricevere sostegno, al fatto che è circondato da interesse. Deve sapere che deve fare le cose con la massima professionalità e serietà. E quindi secondo me deve venire con questa consapevolezza. Ad un giocatore, una piazza del genere chiede tanto, ma è una piazza che conosce anche il risvolto della medaglia. Cioè la piazza sa anche che difficoltà ci sono lì, e ce ne sono tante, e allora si aspetta che un giocatore possa dare tutto sé stesso. Che non si risparmi, che abbia voglia di vincere, senza prendere nulla alla leggera. E’ questo che deve entrare nella testa di un calciatore che viene a Cosenza. Ma senza paura, anche se deve rispondere a una piazza che esige, esige molto. E più che la qualità, esige comunque l’impegno, che onori sempre la maglia del Cosenza. E’ questo che uno, nel momento in cui viene lì, deve deve cercare di fare. E, se ci riesce, non se ne pente.

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