BRESCIA D’APRILE

Credo che allo stato attuale – purtroppo per noi ormai troppo vicino allo psicodramma per sperare che almeno quest’anno si giunga alla salvezza senza troppi patemi per la quale avrei messo la firma due minuti dopo la fine dei playout della scorsa stagione – ci si stia erroneamente concentrando, secondo quanto mi capita di leggere in giro, sugli aspetti sbagliati della partita contro il Brescia (e forse è un errore anche concentrarsi sulla partita contro il Brescia in sé: occorrerebbe guardare il quadro generale). Ho letto analisi anche corrette su una serie di errori che avrebbero portato ai gol della rimonta bresciana (l’ennesima rimonta subita: proprio non vogliamo imparare che il gol del vantaggio lo dobbiamo segnare a cinque minuti dalla fine e non dall’inizio): Frabotta che sbaglia la giocata, Florenzi che fa un fallo inutile, Micai che sbaglia la barriera e poi prende gol da posizione impossibile (dai, ma chi è Gavazzi, Zico?), Camporese troppo molle sul raddoppio (o ha subito fallo?), eccetera.
Mi pare tutto corretto ma limitato e limitante. Un gol si può anche prendere su un proprio errore (c’è chi pensa che tutti i gol nascano da errori altrui altrimenti ogni partita finirebbe zero a zero, e io non sono lontano da questa scuola di pensiero), poi però si può pure rimediare – o almeno provarci, magari non essere fortunati nel tentativo. E il discorso si incentra proprio qui: va bene, abbiamo sbagliato e preso gol, succede, ma poi?
Poi il nulla o quasi. Una squadra che contro il Brescia, esattamente come nelle altre partite (e qui sta il problema) manifesta delle difficoltà fisiche e atletiche inaccettabili, balbetta tecnicamente quando è pressata, è perennemente in ritardo sulle seconde palle – che fanno tutta la differenza del mondo. E ancora, e non ci si può stancare nel rimarcarlo: una squadra che quando passa in vantaggio (e quindi entra in un incomprensibile loop mentale secondo cui deve gestire il risultato, anche se manca una vita e mezza al novantesimo) fa iniziare immediatamente la stagione dei retropassaggi à la bohèmienne: Frabotta se ne è concesso due da codice penale, GianFico – che avrebbe corsa e piede per fare duecento cross decenti a partita – resetta la postura corporea impostandola su dov’è Micai?, e il lento giro palla si volge inesorabilmente all’indietro finché il pallone non arriva al nostro portiere, che ultimamente si sta anche cimentando in arditi lanci di mezza misura che restituiscono palla agli avversari direttamente nella nostra trequarti nel vano tentativo di cercare gli esterni.


Io non ce l’ho coi retropassaggi né con la costruzione dal basso, e nemmeno con l’attirare il pressing avversario a due metri dalla propria linea di porta. Può essere una strategia estremamente funzionale: quando la attua l’Inter, fin dai tempi di Conte, assurge persino al rango di spettacolo. Ma noi non siamo l’Inter, i piedi che hanno i difensori dell’Inter alcuni nostri centrocampisti non ce l’hanno (sui nostri difensori glisso proprio) e non è una colpa – lo diventa però quando si vuole fare come l’Inter. Allora sì che quei retropassaggi diventano irritanti.
E nessuno dalla panca che dica basta.
Intendiamoci: non credevo fosse colpa di Caserta ieri, anche se quando si doveva ne ho sottolineato le criticità (ovvero quelli che a mio giudizio personale erano errori), a maggior ragione non credo che sia colpa del neo arrivato Viali oggi. Certo, forse per sostituire Caserta, vista la situazione, sarebbe occorso un allenatore di maggiore caratura e personalità: come scritto anche qui sul blog, la scelta è caduta su un allenatore che si riteneva presentasse un calcio propositivo, il paradosso è che il Cosenza di oggi non propone affatto calcio.
Il retropassaggio deresponsabilizzante fino al portiere, così semmai la colpa è sempre di quello dietro finché non ci mettiamo in porta il pallone da soli, non è una vera scelta, ovviamente, ma in gran parte un rifugio inconscio, una scappatoia psicologica quando la palla scotta. Ebbene, ci serve gente che sappia gestire un pallone che scotta senza restituirlo agli avversari perché si pretende che l’azione alla fin fine la imposti Micai. Ci serve e forse ce l’abbiamo, ma questa gente allora deve (ri)cominciare a farlo – tutta la squadra deve rimettersi nel mood mentale secondo cui occorre giocare a calcio, magari anche sbagliare tecnicamente ma almeno sbagliare un passaggio che nelle intenzioni era giusto, perché sbagliare un passaggio che porta l’avversario nella nostra area è assai peggio.
Un pessimo pesce d’aprile.
Una Pasquetta rovinata, dopo il compleanno dei 110 e il derby.

Siamo alfine giunti alla battaglia per la vita e la morte, quella sul ponte della nave. Fa paura perché la squadra non sembra avere quelle caratteristiche di tenuta nervosa e saldezza caratteriale che necessiterebbero per tirarsi fuori per tempo dalle acque più limacciose: guardando per un attimo a ciò che ci fa paura potremmo anche pensare di aver visto contro il Brescia una squadra mentalmente retrocessa – poi siccome questa idea spaventa troppo distogliamo lo sguardo e speriamo di esserci sbagliati.
Ma proprio dal finale con le Rondinelle ritorna il concetto già espresso sulla pagina Facebook: abbiamo visto una squadra che in sei minuti di recupero non si è praticamente mai affacciata nella trequarti ospite (fatta salva una mischia in area negli ultimi secondi): quando mai noi abbiamo vissuto invece tempi di recupero simili, quando eravamo in vantaggio nel finale?
Quante volte è successo che abbiamo vissuto senza patemi i minuti di recupero di una qualsiasi partita in cui stavamo portando a casa un risultato positivo?
Com’è possibile che una squadra sotto di un gol in casa, in una partita che già sarebbe stato fondamentale vincere per non soffrire, non riesca nemmeno a prodursi in un forcing finale – magari sterile, magari confuso e disordinato, magari gettando inutilmente negli ultimi minuti quattro o cinque cross in area tutti preda del portiere, ma vivaddio provandoci almeno?
Ecco perché il Cosenza visto contro il Brescia fa paura.
Però, come ho detto, drammatizzare ora non serve: bisogna solo sperare che sia stata un’impressione sbagliata. Intanto si avvicina già un’altra delle partite da vincere a tutti i costi. Bisogna rialzarsi presto, presto, presto, l’acqua è arrivata alla gola.

NubeDT

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