AZIONARIATO POPOLARE A COSENZA? NON CON GUARASCIO

Era marzo 2014 quando l’Associazione Cosenza nel Cuore, organizzazione senza fini di lucro nata 2 anni prima dall’iniziativa di alcuni tifosi, si fece portavoce di una lodevole proposta che prospettava al presidente Eugenio Guarascio l’interesse a rilevare una piccola e simbolica quota ed entrare nel capitale sociale del club di Via degli Stadi attraverso l’azionariato popolare. Il presidente, raccolta la proposta dell’associazione, disse che voleva, lecitamente, pensarci. Una riflessione durata però non qualche giorno, settimana o mese ma addirittura anni! E su questo, avendo conosciuto nel tempo il modo di operare del patron, non c’è nulla di cui meravigliarsi. Comunicare, instaurare un dialogo proficuo e confrontarsi per lui è un qualcosa di cui si può fare a meno. E sappiamo altresì che la favella non è il suo forte. Le parole, gli annunci nella sua visione di imprenditore che fa calcio, servono solo per richiamare in gran massa i tifosi ai botteghini in occasione dei match più sentiti dalla tifoseria e rimpinguare le sue casse (o tasche, come meglio preferite). Chi di noi non ricorda il tweet – ebbene sì, per chi non lo sapesse Guarascio ha anche un profilo Twitter, ironia della sorte aperto proprio in quel marzo 2014, che conteggia uno strabiliante numero di tweet (2) e nientepopodimeno che, da stropicciarsi gli occhi, 209 “seguaci” o più comunemente follower (li vorrei conoscere uno ad uno questi irriducibili) – di fine agosto 2019 “sta arrivando un grande giorno il cielo si colora di rossoblù” che faceva presagire il grande colpo di mercato di cui si parlava da giorni mentre le testate giornalistiche ci davano in pasto i nomi di Pazzini e Budimir e invece, il cinguettìo di Eugenio, era semplicemente un invito a riempire gli spalti per l’imminente esordio stagionale casalingo del Cosenza contro gli acerrimi nemici della Salernitana e staccare quanti più biglietti possibili. Per dovere di informazione il colpo poi arrivò per davvero a distanza di qualche settimana, e quel colpo risponde al nome di Rivière (permettetemi di aggiungere uno dei più grandi e completi attaccanti che abbia mai calpestato l’erbetta del San Vito) ma fu solo per merito, per ammissione dello stesso Trinchera, dello spirito santo Lazaar, grande amico del martinicano dai tempi del Newcastle, che lo convinse a sposare la causa rossoblù anche in ottica di rilanciare la sua carriera che era precipitata nella cadetteria francese, lui che aveva giocato sui campi di tutta Europa, dalla Ligue1 alla Liga passando per la Premier League. Ma di questo e di altro ci sarà occasione di parlarne in maniera più approfondita e diffusa nei prossimi appuntamenti. A distanza di qualche anno, maggio 2016, Guarascio, stuzzicato sull’argomento in occasione di un’intervista a Ten, bollò l’iniziativa dell’associazione timida, in pratica di essersi dileguata e di non aver fatto seguito alla proprie intenzioni. Dichiarazioni a cui Cosenza nel Cuore si sentì in dovere di replicare attraverso un comunicato apparso sulla pagina Facebook a firma del direttivo guidato dal presidente Antonello Aprile. Poi il silenzio. Il tema di recente è tornato d’attualità.

Ma cos’è questo azionariato popolare? Di cosa si tratta? Eviterò di annoiarvi con i tecnicismi poiché lo scopo dell’articolo è di stimolare la discussione e alimentare l’interesse sull’argomento dunque cercherò di spiegarlo in maniera breve e semplice. L’azionariato popolare altro non è che una forma di diffusione della proprietà azionaria che permette di partecipare a quanti più soggetti possibili, per lo più supporter, in maniera attiva alla vita del club del cuore, attraverso l’acquisizione di singole frazioni definite quote che compongono il capitale sociale di una società, nel caso specifico di una società calcistica. Possedendo anche una sola azione si diventa a tutti gli effetti azionisti e si gode di tutti i diritti e i doveri per legge spettanti al singolo socio. La quantità di quote acquisite (il possesso) così come avviene per le classiche società che conosciamo, definiscono in maniera netta ed inequivocabile la ripartizione delle percentuali di proprietà della società attribuendone la maggioranza, cioè chi ha più peso. In poche parole chi decide e comanda.
In Europa esistono 2 tipi prevalenti di azionariato popolare: il cosiddetto modello spagnolo e il modello tedesco. I due modelli si differenziano sostanzialmente per la percentuale di quote detenute dai soci tifosi: nel primo caso o un club è totalmente in mano ad un privato, o a più privati in relazione alle quote possedute, o è controllato al 100% da un’associazione composta da chiunque possegga almeno una singola azione del club la quale dà diritto di voto in assemblea per eleggere direttamente il presidente il quale poi nominerà gli altri membri dell’organo direttivo a cui spetteranno le decisioni in ambito societario (il caso di Real Madrid e Barcellona) mentre nel secondo caso è un modello “misto” e cioè le quote di un club calcistico possono essere detenute in compartecipazione sia da soggetti privati che da soci tifosi riuniti in associazioni. Ma con una peculiarità. La norma che disciplina l’azionariato popolare tedesco prevede che la maggioranza del pacchetto azionario, cioè il 50%+1, non possa essere controllato da un unico soggetto bensì dai soci tifosi. Questo ha comportato un equilibrio tra gli investimenti del privato, utili al raggiungimento dei risultati e degli obiettivi, e l’identità della squadra attraverso il radicamento dei tifosi sul territorio, visti e considerati come parte integrante della vita del club che ha permesso di mantenere quel senso di appartenenza che sta via via disperdendosi di fronte all’avanzata del calcio business, innescando tutta una serie di movimenti importanti a tutela dei propri soci e della collettività che in alcuni casi è servito ai club, magari caduti in disgrazia, di risollevarsi o di costruire o ristrutturare il proprio stadio (di proprietà) senza l’intervento dei privati, i cui loschi interessi, e a queste latitudini ne sappiamo qualcosa anche con il progetto del nuovo stadio più volte sbandierato dal sindaco Mario Occhiuto e da almeno un paio di anni lasciato impolverare in soffitta, vanno al di là dello sport evitando così ogni genere di speculazione.
Il risultato? I bilanci sono in attivo, gli stadi sono di proprietà (sempre pieni!), i prezzi si mantengono bassi, il merchandising funziona e i tifosi partecipano attivamente alla vita del club. Ed è questo il modello che più mi affascina e che ho esposto in maniera più dettagliata e che vorrei l’Italia seguisse anche perché per come è strutturato quello spagnolo si è visto essere ad appannaggio solo dei grandi club. Ma, come in tutte le cose al mondo, esistono le eccezioni. Essendo una norma di fine anni ’90 ad alcuni club tedeschi, le cui quote di maggioranza erano già detenute da grosse aziende nate e legate da sempre a quel determinato territorio o che erano sponsorizzati da un’azienda da almeno 20 anni prima dell’entrata in vigore della citata norma, venne concessa una deroga speciale e rimasero nelle mani del privato. Il Bayer Leverkusen sotto il controllo della casa farmaceutica Bayer, il Wolfsburg sotto il controllo del colosso automobilistico Volkswagen e il piccolo Hoffenheim sotto il controllo della multinazionale informatica SAP. Ma c’è chi è riuscito ad aggirare il sistema di recente. Il magnate austriaco Mateschitz, fondatore dell’energy drink Red Bull, è riuscito ad assicurarsi, tramite una società di garanzia, la maggioranza delle quote di una nuova società calcistica con sede a Lipsia, fissando il costo di una singola azione ad un prezzo fuori portata (oltre 800€) per le tasche dei tifosi.

Il diritto sportivo italiano non prevede ancora una vera e propria legislazione in materia anche se esistono dei casi, seppur sporadici, come l’associazione My Roma, quella dell’Hellas Verona o quella legata al Santarcangelo, che prevedono delle forme di azionariato. È notizia di qualche giorno fa che alcuni tifosi vip dell’Inter, tra cui spiccano l’ex gloria e capitano Beppe Bergomi, il tenore Andrea Bocelli, i cantanti Luciano Ligabue, Max Pezzali, Enrico Ruggeri e Roberto Vecchioni, il conduttore Paolo Bonolis, Giacomo Poretti e Giovanni Storti del trio comico Aldo, Giovanni e Giacomo, i giornalisti Enrico Mentana, Peter Gomez e Gad Lerner hanno aderito alla proposta lanciata dall’economista ed ex Commissario straordinario alla revisione della spesa pubblica del Governo Letta Carlo Cottarelli e iniziato le procedure per dar vita all’azionariato popolare. Di recente qualche esponente politico ha espresso la necessità di regolamentarlo e avere un quadro normativo chiaro per le società sportive professionistiche. La norma, quindi, punta a regolare la partecipazione al capitale sociale di una società sportiva da parte di un gruppo di persone, che, in base alla percentuale di partecipazione e all’entità del loro investimento prenderanno parte ai risultati economici aziendali.

Ma veniamo al nocciolo della questione e a quello che ci riguarda da vicino. Quale sarebbe il vantaggio di un azionariato popolare a Cosenza? La risposta, oggi, è: nullo. Ma non perché diffidi dalla pratica in sé ma perché sarebbe come concedere una raccolta fondi ad un presidente le cui parole investimento, programmazione, partecipazione, dialogo, condivisione e lungimiranza non esistono nel suo vocabolario senza peraltro avere voce in capitolo in sede di assemblea. Bene, chiamiamo le cose con il loro nome: trattandosi di Guarascio avremmo a che fare con una colletta in suo favore, probabilmente pure elargita da quella “sparuta minoranza” che oggi lo contesta. Quella colletta che avevano invocato giornalisti o presunti tali sui social per riportare Rivière a Cosenza. Non sarebbe stato altro che erogare una regalia al detentore del capitale sociale, la 4 EL Group cioè Eugenio Guarascio, che il ricevente avrebbe utilizzato come meglio crede (ingrossare il suo tesoretto) non avendo alcun vincolo di utilizzazione delle somme.
Ma ci sarebbe stato un problema a monte insormontabile. Un arbitrato terzo avrebbe dovuto dare un valore a queste quote. Quindi portare a conoscenza bilanci non ancora pubblici, situazioni patrimoniali ed economiche infrannuali, elenco clienti e fornitori, contratti, situazioni debitorie presso agenzia della riscossione e situazioni aggiornate su accertamenti dell’agenzia delle entrate. A Cosenza queste cose non si fanno, le carte non le fa vedere, il nostro famigerato, né a chi pubblicamente le richiede e né a chi le richiede per portare avanti la trattativa. 
A Cosenza, ora come ora, l’azionariato popolare non servirebbe a nulla, sarebbe solo un ingenuo gesto d’amore verso i nostri colori. Un po’ come fare un abbonamento allo stadio. A proposito di abbonamenti. Vox populi danno per certo che una parte, non minoritaria, degli abbonati 2019/20 non sia stata rimborsata. 
Il suo tempo a Cosenza è finito. Deve andarsene. Cedere e andarsene. Sarebbe meglio prima pagare TUTTI i debiti, cedere ed andarsene.

Nevermind, Eternauta Rossoblù

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